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Il senato ha approvato la riforma della scuola

Il senato ha approvato la riforma della scuola con 159 voti a favore, 112 contrari e nessun astenuto. Nel momento in cui il presidente Pietro Grasso ha annunciato l’esito del voto di fiducia si sono levati fischi e urla di protesta. Le organizzazioni sindacali e l’Unione degli studenti hanno organizzato una serie di proteste davanti al ministero dell’istruzione. Il testo passa ora alla camera

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La riforma della scuola ha perso i suoi superpoteri

Sono ore decisive non solo per i 490mila studenti alla vigilia della maturità, ma anche per la riforma della scuola che hanno frequentato. La commissione cultura del senato, che nonostante l’apparente fretta è rimasta in stand-by per diverso tempo (occupato dalle consultazioni e riunioni in casa del Partito democratico) è convocata per la notte prima degli esami, cioè alle 20.30 del 16 giugno. I rapporti di forza sono di 15 a 12: dodici alle opposizioni e quindici alla maggioranza, ma tra questi ultimi ci sono tre senatori non allineati al segretario del Pd e presidente del consiglio (Walter Tocci, Corradino Mineo e Carlo Rubbia).

Nel frattempo si spera che sarà pervenuta la relazione tecnica alla riforma, preparata dalla commissione bilancio (i cui lavori sono stati a loro volta rallentati dalle avventure del suo presidente Antonio Azzolini, sul quale pende la richiesta d’arresto da parte della procura di Trani).

Sulla riforma della scuola è piombato l’intero arco dei temi politici e giudiziari del momento: come se non bastasse la portata degli argomenti e le 17 deleghe contenute nell’articolato, peraltro già oggetto di modifiche consistenti nel passaggio alla camera. Dagli slogan iniziali della Buona scuola in dodici punti, al disegno di legge approvato in consiglio dei ministri ai primi di marzo, al testo che la camera ha riveduto e corretto e trasmesso al senato (qui alcune schede sintetiche di lettura), molti sono gli oggetti smarriti e molti quelli assai cambiati. Nell’attesa che anche il senato faccia la sua parte, ecco un primo elenco delle cose che la riforma ha smarrito per strada e di quelle che ha trovato.

I superpoteri dei presidi

Il primo oggetto smarrito è il superpotere attribuito nella stesura iniziale ai dirigenti scolastici, che si concretizzava in due momenti cruciali: scegliere in totale autonomia i docenti da assumere, nell’ambito della lista degli albi regionali; assegnare i premi ai più meritevoli. Dopo il passaggio alla camera, gli albi regionali diventano “ambiti territoriali di riferimento”, che però saranno definiti non prima dell’anno prossimo; il dirigente deve sentire il parere del collegio dei docenti e rendere pubblici i criteri in base ai quali sono fatte le scelte; non può dare incarichi a parenti entro il secondo grado; tocca ai docenti, nel caso siano chiamati da più scuole, scegliere dove andare. Senza contare che, secondo gli ultimi emendamenti a cui sta lavorando la maggioranza, potrebbe essere rinviato all’anno scolastico 2016-2017 anche il debutto della chiamata diretta del preside.

Oggetto nuovo, pescato durante i lavori della camera, è un neonato comitato di valutazione che, per ogni scuola, dovrà coadiuvare il preside nella scelte dei meritevoli

Un po’ intiepidito anche il secondo superpotere, quello sull’attribuzione dei “premi”: il bonus, per il quale c’è un budget nazionale di 200 milioni di euro e che raggiungerà il 5 per cento dei docenti nell’ipotesi minima (quattro docenti per scuola), il 33 per cento in quella massima (dai 23 ai 27 docenti per scuola). Nel primo caso, l’aumento mensile per i premiati sarà tra i 430 e i 490 euro al mese; nel secondo attorno ai 70 euro al mese.

Oggetto nuovo, pescato durante i lavori della camera, è un neonato comitato di valutazione che, per ogni scuola, dovrà coadiuvare il preside nella scelte dei meritevoli: dentro ci dovrebbero stare due docenti (chiamati a valutare i propri colleghi) e due genitori per le elementari e medie, un genitore e uno studente per le superiori. Quest’ultima modifica non piace affatto ai senatori, e dovrebbe essere una delle prime cose che salteranno nei lavori del senato. Spunta invece, tra gli oggetti trovati, il preside “a tempo”, massimo tre anni rinnovabili di altri tre, per bilanciare con una riduzione della permanenza in ogni singola scuola l’aumento di poteri e ridurre il rischio di creazione di feudi personali eterni.

Piano di assunzioni

Tra gli oggetti trovati, dopo lunghissima battaglia, ci sono gli idonei del concorso 2012, che vanno dunque ad aggiungersi ai circa 101mila previsti dallo svuotamento delle graduatorie a esaurimento. Restano fuori le maestre della scuola materna e gli abilitati dei corsi di Tirocinio formativo attivo (Tfa) e delle ex Scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario (Ssis), nonché i precari con almeno tre anni di servizio su posti scoperti (i supplenti annuali): per loro si promette una quota del 40 per cento di posti riservati nel prossimo concorso.

Clamorosamente, è smarrito il principale obiettivo del piano di assunzioni: la chiusura definitiva delle graduatorie. Infatti si prevede che, oltre a quelle della scuola dell’infanzia (che resta in attesa di una riforma che copra l’arco educativo di vita da zero a sei anni), resteranno aperte anche le graduatorie delle elementari, dove, mentre la riforma procedeva in parlamento, altre sentenze hanno provveduto a piazzare maestre diplomate negli anni nei quali la licenza magistrale era ancora titolo “abilitante”. Tra gli oggetti (del desiderio) perduti, anche la fine delle supplenze: le assunzioni non basteranno a coprire tutti i posti vacanti per alcune cattedre, in particolare matematica e fisica al nord, e dunque per queste si dovrà ricorrere ancora alle supplenze dalle graduatorie di istituto.

Questioni di soldi

Il più grosso degli oggetti smarriti qui è il 5 per mille alle scuole: stralciato, dopo la rivolta unanime di tutto il mondo del terzo settore. Se ne parlerà in sede di legge di stabilità. Modifiche rilevanti, invece, sul cosiddetto school bonus – ossia la possibilità di fare donazioni liberali alle scuole e detrarle dalle tasse – e sugli sgravi fiscali per le rette scolastiche. Il beneficio fiscale per le donazioni varrà sia per le scuole statali sia (questa è la novità) per le paritarie, e consiste in un credito d’imposta pari al 65 per cento della spesa per gli anni 2015 e 2016 e del 50 per cento per il 2017. Nuovi ingressi anche tra i beneficiari dell’altro provvedimento fiscale, la detraibilità delle spese sostenute per la frequenza scolastica.

Anche se il presidente del consiglio Matteo Renzi si è apertamente dichiarato contrario ai “diplomifici”, la camera ha esteso gli sgravi dalle sole materne ed elementari alle scuole secondarie, inferiori e superiori: si potranno detrarre fino a 400 euro all’anno per studente. Si aggiunge la previsione di un “piano straordinario” per verificare i requisiti delle scuole paritarie, che dovrebbe servire, quando arriverà, a togliere i requisiti ai cosiddetti diplomifici.

C’è un piano B, anche per la scuola

Al senato come alla camera, lo scontro si concentra sulle categorie dei precari da assumere, ossia gli attuali esclusi dal piano; sui poteri dei presidi; sugli sgravi e gli aiuti per le scuole paritarie. Ma, al di là del merito, è la prima prova dell’eventuale nuova fase di Renzi, dopo i deludenti risultati delle elezioni amministrative; e delle strategie delle opposizioni.

Con un piccolo dettaglio: i tempi, che ormai sono proibitivi, dato che la riforma dovrebbe essere approvata in via definitiva entro il 30 giugno perché ci sia la – già difficile – possibilità di far partire la macchina amministrativa per varare il cosiddetto “organico funzionale”, propedeutico all’assunzione dei 101mila. Finora, proprio il legame tra questi tempi stretti e la mole gigantesca della riforma ha pesato come un ricatto implicito: chi si oppone alla riforma blocca le assunzioni, dicevano fino a poco fa i sostenitori di Renzi, opponendosi alla richiesta delle opposizioni di stralciare le assunzioni dal corpus della legge delega.

Adesso però c’è più di un dubbio, tra le fila dei renziani, sull’idea di andare alla prova di forza sulla scuola, con il conseguente passaggio per un voto di fiducia. È spuntata invece, nelle ultime ore, un’altra ipotesi, che lascerebbe più tempo a senato e camera per votare la legge: a settembre si assumono tutti i 101mila, ma si separa la decorrenza giuridica da quella economica dell’immissione in ruolo.

Il che vuol dire che per quei precari che trovano già la loro cattedra pronta – e sono quelli che sarebbero stati assunti comunque, per il normale scorrimento delle graduatorie: circa 50mila docenti – l’assunzione giuridica ed economica scatta dal primo settembre. Gli altri entrano giuridicamente in ruolo dal primo settembre, ma la decorrenza economica scatta quando è pronto l’organico dell’autonomia, cioè dopo qualche mese.

In questo modo si eviterebbe di dover rinviare tutto di un anno, ma verrebbe anche meno uno dei più potenti strumenti di pressione che ha Renzi per far passare la riforma così com’è.

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