La guerra geografica della buona scuola
Adesso si aspetta solo il tweet di Salvini contro l’invasione scolastica dei professori terroni. A tre giorni dalla chiusura delle domande per il piano straordinario di assunzioni abbinato dal governo alla riforma della scuola, è evidente nei numeri quel che era scritto nel mondo della scuola, a caratteri cubitali, da decenni: la maggior parte dei precari da assumere sta al sud, mentre gli insegnanti servono di più al nord. E non è – stavolta – colpa di Renzi.
Già monta una guerriglia retorica fatta di opposte assurdità: quella nordista contro l’arrivo dei professori del sud nei posti lombardi, veneti, liguri, piemontesi (quasi settemila solo dalla Sicilia, più di cinquemila dalla Campania), e quella sindacale contro la “deportazione” dei precari.
Sul primo punto, ha già alzato la voce Valentina Aprea, assessora lombarda all’istruzione ed ex sottosegretaria al ministero dell’istruzione (Miur) nei governi Berlusconi: il governo doveva tener conto del rapporto tra graduatorie provinciali e posti disponibili nella stessa provincia, ha detto. In sostanza, chiudere le frontiere scolastiche, privilegiando i precari autoctoni. Opposta la ricetta dei sindacati e dei vari comitati dei precari: contro la deportazione, chiedono di rivedere la disponibilità dei posti. In sostanza, assumere i precari non dove servono ma dove vivono.
La carica dei settantamila
Per quanto messi sempre insieme nella propaganda politica, i famosi “oltre centomila” precari da assumere erano in realtà fatti di due spezzoni: i docenti precari che, anche senza riforma, sarebbero comunque entrati in ruolo quest’anno andando a sostituire i colleghi che andavano in pensione (sono 29mila, un po’ meno rispetto all’anno scorso), e quelli che entrano per il “piano straordinario” previsto dalla riforma e dal governo vincolato alla sua totale e rapida approvazione. Piano riservato agli iscritti alle graduatorie a esaurimento (gae), con l’esclusione degli insegnanti della scuola materna, per il quale hanno presentato domanda in 71.643, ha fatto sapere il ministero allo scadere del termine.
Secondo i calcoli diffusi dalle stesse fonti ministeriali, uno su cinque, tra gli iscritti alle gae, non ha presentato la domanda per essere assunto. Presentata come una grande vittoria sulla protesta del mondo della scuola (come se questa potesse spingersi all’autolesionismo e portare a rifiutare un posto di lavoro), questa cifra è in realtà perfettamente coerente con le premesse del piano stesso.
I giovani laureati e specializzati con i tirocini formativi sono rimasti esclusi dal piano di assunzioni
Il piano ha infatti voluto limitare le assunzioni alla più vecchia e calcificata delle graduatorie, universo enorme e sconosciuto ma nel quale, si sapeva già, sono rimaste iscritte anche persone che non lavorano da anni, o hanno altri lavori, o facevano pochissime supplenze poiché, non potendo o volendo muoversi, accettavano solo quel che si trovava vicino casa. Insomma, non era proprio un esercito di giovani mobili (età media sui 50). Questi ultimi, i giovani laureati e specializzati con i tirocini formativi, nonché i precari delle graduatorie di istituto, sono rimasti esclusi dal piano di assunzioni.
Quelli che hanno fatto domanda, comunque, hanno dovuto accettare le regole del gioco: esprimere la propria priorità sulle province dove si potrà lavorare, e aspettare che l’algoritmo ministeriale, combinando preferenze ed esigenze territoriali, assegni la sede. È una cosa assurda? Difficile sostenerlo, in un paese nel quale il sistema scolastico è (ancora) nazionale e non confederato. È una deportazione? Un po’ esagerato il termine, in un momento in cui i mari e le coste sono pieni di cadaveri di persone che rischiano la vita per cercare un lavoro.
Ma quanti dovranno spostarsi, dei settantamila? Secondo il sindacato Anief, specializzato in ricorsi del personale scolastico, “un docente su cinque sarà assunto in una regione diversa da quella scelta”, e dovranno trasferirsi dal sud al nord 15mila persone. Lo stesso sindacato ha calcolato la differenza, regione per regione, tra le domande presentate e i “posti” disponibili (sommando quelli previsti dal potenziamento dell’organico, previsto dalla riforma, e quelli di sostegno, insomma quelli che i tecnici del Miur hanno chiamato fase B e C delle assunzioni).
Le regioni a più alto tasso di “esodo” sono Campania e Sicilia, ma avranno un saldo negativo (più precari che posti) anche Lazio, Puglia, Calabria, Abruzzo, Molise, Basilicata. Mentre sono importatori netti di precari la Lombardia, il Veneto, il Piemonte, la Liguria e il Friuli. Ma questi numeri potrebbero non corrispondere alla realtà, alla fine dei conti, dato che pare che tra le settantamila domande ce ne siano molte irricevibili, perché provenienti dalla scuola dell’infanzia.
Secondo le stime che girano tra gli addetti ai lavori (si veda il sito Tuttoscuola), in realtà le domande valide sono circa 61mila, dalle quali andranno poi detratti molti precari che nel frattempo vanno a occupare posti vacanti che si liberano. Non solo: tra i proponenti domanda, c’è anche chi ha appena ricevuto un incarico di supplenza annuale – magari sotto casa sua – e dunque, per decisione dello stesso ministero, potrà completare il suo anno prima di prendere servizio. E nel frattempo farà ricorso per restare dov’è.
Niente algoritmo
Mentre si litiga sul “dove”, non è affatto chiaro il “cosa”: che andranno a fare i settantamila (o meno) assunti col piano straordinario della Buona scuola? Su questo dettaglio, buio totale. Il ministero non ha dato alcun numero ufficiale sul lato della “offerta”: dove servono i posti di potenziamento, e per fare cosa.
Le scuole hanno mandato le loro preferenze, ma non è detto che saranno incrociate con le disponibilità dei professori: in questo campo, niente algoritmo. Potrebbero aver chiesto più docenti di fisica, e trovarsi con molti letterati (che predominano nelle graduatorie a esaurimento) e anche con qualche stenografo (le ore di stenografia non ci sono più, ma i docenti sì). Secondo l’idea del governo, il fatto che ogni scuola abbia a disposizione un gruppetto di docenti fissi in più dovrebbe aiutare a organizzare il lavoro, “potenziare” l’offerta formativa e soprattutto coprire le assenze brevi dei docenti di ruolo.
Ma l’immissione delle forze fresche avviene con i più antichi dei criteri e i più consolidati copioni del mondo scolastico: elenchi infiniti, slalom tra province e graduatorie, punti da contare e ricontare, trasferimenti, ricorsi. Non c’è alcuna traccia, per esempio, del nuovo potere dei presidi nella scelta degli insegnanti: essendo stato tutto il “nuovo” della riforma rinviato all’anno prossimo, per impossibilità di procedere nei tempi strettissimi che il governo ha imposto per far passare tutto il pacchetto.