Le città non sono il problema ma la soluzione
Le città sono un bene per la salute pubblica, anche in un momento come questo. Come gli esperti di sanità sanno da decenni, gli abitanti delle città camminano e vanno in bicicletta più spesso di chi vive in centri più piccoli, e vivono a breve distanza dai servizi di comunità come i supermercati. La densità urbana, inoltre, favorisce i soccorsi tempestivi durante un’emergenza, permette agli ospedali di avere una maggiore concentrazione di posti letto in terapia intensiva e di usare meglio altre risorse sanitarie.
Eppure, anche se è dimostrato che in città si vive più a lungo e più in salute rispetto alle aree rurali, la diffusione del covid-19 – e in particolare l’esperienza tragica di New York – hanno creato una discutibile associazione tra la densità urbana e il contagio. “A New York c’è un livello di densità estremamente distruttivo”, ha scritto su Twitter il governatore dello stato Andrew Cuomo a marzo, invitando l’amministrazione comunale a creare “un piano immediato per ridurre la densità”. In questo contesto molti opinionisti hanno dichiarato che la pandemia evidenzia i vantaggi delle comunità extraurbane.
Il caos economico e sanitario che ha colpito gli Stati Uniti potrebbe spingere gli americani verso pericolose generalizzazioni sulle cause dell’emergenza e sulle conseguenze a lungo termine. Queste generalizzazioni minacciano di trasformarsi in opinioni diffuse e di influenzare la politica, rendendoci paradossalmente più vulnerabili rispetto al covid-19 e ad altri pericoli futuri.
Gli ultimi studi sulla malattia condotti in Cina e a Chicago mostrano che non c’è nessun collegamento tra la densità di popolazione e il tasso di contagio da covid-19. Se i governi e le amministrazioni locali continueranno a considerare la densità come un problema tenderanno a favorire la crescita dei sobborghi ai margini delle città, quando invece sarebbe meglio intervenire sul sistema degli alloggi e sull’organizzazione urbanistica per permettere alle persone di vivere la città in sicurezza e muoversi facilmente.
Politiche sbagliate
Le politiche introdotte a livello locale hanno conseguenze profonde sulla salute dei residenti. È vero che la città più densamente popolata del paese, New York, è stata colpita duramente dal covid-19, con 200mila casi accertati e ventimila morti. Tuttavia, basta considerare la seconda città di questa classifica, San Francisco, per farsi un’idea molto diversa, con un numero di contagi di gran lunga inferiore (poco più di duemila) e appena 37 morti. Il confronto tra i casi di contagio può essere fuorviante perché dipende dal numero dei tamponi fatti, ma i dati sui decessi sono significativi. New York ha una popolazione dieci volte più numerosa rispetto a San Francisco, ma ha registrato un numero di vittime 500 volte superiore.
Ma qual è la differenza tra New York e San Francisco? Rispetto alla prima, la seconda ha risposto alla pandemia in anticipo e in modo più efficace, imponendo il distanziamento sociale prima delle grandi metropoli della costa orientale. San Francisco non è l’unico esempio di questa tendenza. Alcune delle città più densamente popolate del mondo (Taipei, Hong Kong, Seoul) hanno ottenuto risultati migliori di metropoli meno dense e più estese. Pur incontrando serie difficoltà nel contenimento della pandemia, queste città hanno agito con decisione e si sono affidate alla scienza per scongiurare la catastrofe, con effetti innegabilmente positivi.
Incolpare la densità urbana per il disastro portato dal virus significa ignorare i veri problemi delle città
In California è in corso un intenso dibattito sul rapporto tra l’affollamento degli alloggi e la diffusione del covid-19. Una concentrazione eccessiva di persone all’interno delle case è in effetti dannosa per la salute pubblica. Le spietate politiche sociali e la disparità economica (tradizionalmente legate all’appartenenza etnica) hanno costretto molte persone con redditi bassi a vivere in abitazioni troppo piene. Ma la densità e il sovraffollamento sono due cose molto diverse. Il sovraffollamento si verifica quando la mancanza di alloggi sufficienti costringe famiglie e coinquilini a occupare spazi ridotti progettati per un numero inferiore di persone. Questa situazione può effettivamente favorire la diffusione del contagio, ma è diversa dalla situazione di aree urbane dense dove le persone vivono in spazi adeguati e vicine a servizi e aree commerciali.
Incolpare la densità per il disastro portato dal virus significa ignorare tutti i fattori che determinano realmente gli effetti sulle comunità delle crisi come quella attuale. Le città statunitensi grandi e piccole che hanno risposto in modo tempestivo, efficace e deciso hanno sofferto meno di quelle che hanno agito con lentezza e senza uno sforzo coordinato. Un elemento determinante per l’esposizione di una comunità al covid-19, a prescindere dalle dimensioni e dalla densità abitativa, è la reattività (o la mancanza di reattività) del governo nel soddisfare le necessità della popolazione. A tutto questo si aggiungono le disuguaglianze create dalla lunga tradizione di razzismo, segregazione e colpevole incuria nei confronti delle necessità sanitarie delle comunità economicamente svantaggiate. Oggi la pandemia sta evidenziando gli effetti catastrofici di quelle politiche.
Inoltre, la mancanza di densità abitativa comporta l’espansione indiscriminata delle aree urbane, e questo a sua volta produce conseguenze negative per la salute, tra cui l’aumento dei disturbi respiratori che rendono le persone più vulnerabili a malattie come il covid-19. L’espansione urbana alimenta il cambiamento climatico e i conseguenti danni per la salute in tutto il mondo. Ogni anno 21mila californiani, soprattutto neri e ispanici, muoiono a causa dell’inquinamento atmosferico legato ai trasporti e ai sistemi di riscaldamento e condizionamento. L’espansione urbana innesca un aumento delle emissioni, e una crescita anche minima dell’esposizione all’inquinamento può comportare conseguenze gravi rispetto alla pandemia. L’espansione urbana costringe inoltre le persone a trascorrere più tempo nelle automobili, con una media negli Stati Uniti di otto ore e 22 minuti ogni settimana. Questa sedentarietà aumenta il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 e l’obesità, entrambi fattori di rischio per il covid-19.
Non è la prima volta che le città vengono incolpate per la diffusione di una malattia. Già in passato molte iniziative contro la densità urbana sono state giustificate da preoccupazioni sanitarie, e spesso hanno assunto la forma di politiche di sviluppo che hanno favorito non solo l’espansione ma anche la discriminazione su base razziale.
L’approccio politico all’origine delle misure contro la densità urbana aggrava le disparità razziali e rappresenta un pericolo per la salute di tutti.
Per tutti questi motivi gli Stati Uniti dovrebbero investire nelle città e in una politica abitativa equa invece di lasciare che la pandemia diventi una scusa per fare il contrario.
(Traduzione di Andrea Sparacino)