L’espressione “rinascita democratica” (dal titolo di un libro pubblicato nel 2007 dallo storico Garrett Epps) è usata spesso nella storiografia statunitense per indicare il periodo successivo alla guerra civile in cui tutti i progressisti unirono le forze per aggiungere il 14° emendamento alla costituzione. L’emendamento garantiva agli afroamericani la piena cittadinanza e proibiva a qualsiasi governo di negare la parità di diritti a tutti i cittadini davanti alla legge. Quel testo ha cambiato quasi ogni dettaglio della vita pubblica negli Stati Uniti, ed è per questo che gli studiosi lo chiamano anche “seconda costituzione”.

Il 14° emendamento non significò una riconciliazione tra il nord vincitore e il sud sconfitto, ma una nuova unità imposta dal vincitore, un grande passo verso l’emancipazione universale.

Non è accaduto qualcosa di simile in Cile, con la vittoria del sì al referendum? Il processo di modifica della costituzione approvato dalla maggioranza cilena non punta solo a superare l’eredità di Pinochet e a tornare all’era “democratica” precedente, ma vuole inaugurare un cambiamento più radicale, un nuovo stadio dell’emancipazione. Anche in questo caso, la “rinascita democratica” non è un ritorno a un antico stato idealizzato, ma una rottura netta con il passato.

Nessuna alleanza
Nell’era di Donald Trump gli Stati Uniti si sono trovati in uno stato di guerra civile politico-ideologica tra la nuova destra populista e il centro liberaldemocratico, che ha perfino portato a episodiche minacce di violenza fisica. Ora che il populismo autoritario di Trump è stato sconfitto, c’è la possibilità di una nuova “rinascita democratica” negli Stati Uniti? Sfortunatamente questa minima possibilità è stata cancellata dall’emarginazione dei “socialisti democratici” (Bernie Sanders, Alexandria Ocasio-Cortez eccetera). Solo un’alleanza tra i liberali di sinistra e i socialisti democratici avrebbe potuto portare avanti il processo di emancipazione democratica.

Inoltre, con il senato ancora nelle mani dei repubblicani e la corte suprema guidata da una solida maggioranza conservatrice, come nuovo presidente Joe Biden avrà un margine di manovra molto limitato e non potrà imporre alcun cambiamento reale. Il problema per altro è che lo stesso Biden è un “moderato” che opera per conto dell’establishment politico ed economico, ed è terrorizzato all’idea di essere accusato di tendenze socialiste.

Alexandria Ocasio-Cortez ha fatto bene a rompere la tregua durante un’intervista postelettorale, accusando il Partito democratico di incompetenza e mettendolo in guardia affermando che se l’amministrazione Biden non assegnerà incarichi di spicco ai progressisti il partito colerà a picco alle elezioni di metà mandato del 2022.

Il risultato delle elezioni non è solo uno stallo. Ci sono anche vincitori chiari: i grandi capitali e gli apparati dello “stato profondo”

In questo momento gli Stati Uniti sono spaccati quasi a metà, e di conseguenza le parole di unità e riconciliazione pronunciate da Biden suonano vuote. Per dirla come Robert Reich: “Come può Biden guarire l’America se Trump non vuole che l’America guarisca?”. Questa spaccatura non sparirà a breve: “Trump non è stato un incidente di percorso. L’America che lo ha creato è ancora tra noi”.

Dopo la guerra civile la “rinascita della democrazia” si concluse con un compromesso con i democratici del sud contrari ai neri, che permise alla discriminazione razzista di sopravvivere per un secolo intero, fino agli anni sessanta. Oggi c’è la possibilità che accada qualcosa di simile dopo un paio d’anni di governo di Biden.

In ogni caso il risultato delle elezioni non è solo uno stallo. Ci sono anche vincitori chiari: i grandi capitali e gli apparati dello “stato profondo”, da Google e Microsoft all’Fbi e alla National security agency. Dal loro punto di vista una presidenza Biden debole e un senato nelle mani dei repubblicani è il risultato ideale: senza le eccentricità di Trump, il commercio internazionale e la cooperazione politica torneranno alla normalità, mentre la corte suprema e il senato bloccheranno qualsiasi proposta radicale.

Il paradosso, dunque, è che negli Stati Uniti la vittoria del fronte progressista è stata al contempo la sua sconfitta, uno stallo politico che potrebbe addirittura dare a Trump la possibilità di riprendersi il potere nel 2024.

Nervo scoperto
È per questo che adesso, proprio nel momento della sconfitta del presidente uscente, dobbiamo chiederci come abbia fatto Trump a sedurre metà della popolazione statunitense. Uno dei motivi sta sicuramente in una caratteristica che condivide con Bernie Sanders. I sostenitori di Sanders sono ferocemente leali al senatore del Vermont e come dicono loro, una volta che si sceglie Bernie non si torna indietro. In questo caso non si tratta di un legame mistico, ma della sensazione che lui capisca i loro problemi e cerchi di risolverli, diversamente dagli altri candidati democratici. Non è una questione di realismo o fattibilità del programma di Sanders, ma della sua capacità di toccare un nervo scoperto dei suoi sostenitori.

Un elettore preoccupato di cosa potrebbe accadere se (o meglio, quando) un suo familiare si ammalasse gravemente, può affermare sul serio che Bloomberg o Biden lo capiscano davvero?

Ed è qui che Trump è, almeno in superficie, simile a Sanders. Anche se Trump esprime la sua solidarietà con le persone comuni limitandosi a oscene volgarità, parla però delle loro paure e preoccupazioni quotidiane in termini semplici, dando l’impressione di essere davvero interessato alla loro situazione e di rispettare la loro dignità. Bisogna ammettere che Trump ha saputo astutamente adottare un approccio “umano” anche nella gestione della pandemia: ha cercato di mantenere la calma dicendo alla gente che l’emergenza sarebbe passata e consigliando a tutti di andare avanti come se nulla fosse.

Una volta ho scritto che Biden è Trump con un volto umano, più civile e gentile. Ma è vero anche il contrario: Trump è Biden con un volto umano, laddove chiaramente per “umanità” si intende un livello minimo fatto di volgarità e insulti, come quando si dice che un ubriacone che blatera frasi senza senso è più “umano” di un esperto che parla di formule complesse.

Siamo al punto in cui il meglio che possiamo sperare è un presidente che non cambi nulla. Le uniche persone che possono essere definite eroi sono quelle che hanno ignorato le minacce violente dei sostenitori di Trump e hanno continuato a fare il loro lavoro contando i voti – un apprezzamento che di solito riguarda gli “stati canaglia” dove una transizione pacifica del potere è motivo di giubilo.

L’unica piccola speranza è che sopravviva almeno un involontario effetto benefico dell’era Trump: il parziale ritiro degli Stati Uniti dalla politica mondiale e il loro riconoscimento di essere solo una parte di un nuovo multilateralismo. Solo così potremo evitare l’umiliante situazione di dover assistere terrorizzati allo spoglio dei voti negli Stati Uniti, come se il destino del pianeta dipendesse da un paio di migliaia di bifolchi americani.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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