Ammonta a 40 miliardi di euro la manovra necessaria perché l’Italia raggiunga il pareggio di bilancio entro il 2014, rispettando gli impegni assunti con l’Europa. In realtà potrebbero servire fino a 50 miliardi se le misure dovessero indebolire la già fragile crescita.

Nella manovra i conti non tornano. Mancano all’appello 15 miliardi, il cui reperimento è affidato a una legge delega fiscale dal contenuto tutt’altro che definito. Inoltre, l’aggiustamento netto avviene dal 2013, quando sarà in carica un nuovo governo. Il grosso dei tagli riguarda i trasferimenti a regioni, province e comuni (7,4 miliardi a regime) e la spesa sanitaria. Sono previsti anche tagli ai ministeri (sei miliardi a regime). Le pensioni contribuiranno per circa un miliardo, ma probabilmente si arriverà a 300 milioni.

Le maggiori entrate provengono soprattutto da imposte come quella sui depositi di titoli, che frutterà fino a 3,5 miliardi, una tassa patrimoniale sulla ricchezza mobiliare che colpisce i piccoli risparmiatori. Poi ci sono le tasse sui giochi e le maggiorazioni sull’irap per banche e assicurazioni. A conti fatti, è una manovra basata più sulle entrate che sulle spese, mentre il governo si era impegnato ad agire prevalentemente sulla spesa.

Il contributo delle entrate sarà ancora maggiore se gli enti locali compenseranno i tagli ai trasferimenti aumentando le imposte locali. La reazione negativa dei mercati nei confronti del debito italiano riflette considerazioni sull’instabilità politica e l’inadeguatezza del nostro presidente del consiglio. Ma certo la scarsa credibilità della manovra non è d’aiuto.

Internazionale, numero 906, 15 luglio 2011

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