Test in fermento
Da settimane la commissione istruzione del senato degli Stati Uniti, altri ambienti politici e giornali sono impegnati in vivaci discussioni sui test di profitto nelle scuole. Non è in dubbio la bontà intrinseca dei test: le prove di misurazione e valutazione oggettiva di conoscenze e competenze sono una pratica ben radicata nella tradizione scolastica nordamericana.
In discussione è il ricorso a test uguali dappertutto per misurare progressi o peggioramenti degli istituti scolastici, e procedere poi a premiare quelli che hanno migliori punteggi punendo i più scarsi. Quest’uso è una novità degli anni duemila, dovuta alla legge No child left behind.
Proposta dall’amministrazione repubblicana di George W. Bush nel 2001 e approvata con il pieno accordo dei democratici, la legge avrebbe dovuto scadere nel 2007. In realtà ha continuato a funzionare. Nessuno vuole disconoscere il suo obiettivo di fondo: l’inclusione, il riuscire a portare la totalità di alunne e alunni a completare l’istruzione secondaria superiore. Ma lo strumento dei test standard si è rivelato inefficace e dannoso.
Da un lato le scuole fanno carte false per non far iscrivere proprio i disabili o disagiati. E d’altro lato imperversa il teaching for testing: lasciata da parte ogni altra materia, si insegna e si studia solo perché siano meglio affrontati i test di lingua e matematica. Il governo federale e diversi senatori e deputati stanno preparando leggi per limitare o abbandonare quest’uso dei test.
Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2015 a pagina 23 di Internazionale, con il titolo “Uno strano fenomeno”. Compra questo numero | Abbonati