L’economia britannica è sull’orlo del caos
La finanza e gli imprenditori britannici stanno trattenendo il respiro. Pochi riescono a credere che il governo di Londra stia rischiando di portare l’economia nazionale al collasso. D’altronde quale governo sano di mente vorrebbe mai imporre alla popolazione il caos totale nel commercio, nei trasporti e nelle forniture alimentari, farmaceutiche e di strumenti tecnologici? Come se non bastasse già l’aumento della disoccupazione causato da due lockdown e dal fallimento di molte attività. E poi perché? Per difendere una concezione utopistica della sovranità che non è mai stata reale neanche all’apice dell’impero? Possiamo ancora sperare che la ragione prevalga e che si trovi qualcosa di meglio di un accordo di libero scambio striminzito simile a quello tra l’Unione europea e il Canada, l’unico che il premier Boris Johnson dice di voler ottenere?
Pare proprio di no. Restano pochi giorni per ratificare un testo e nessuno sa se ci sarà una separazione senza accordo o un accordo alla canadese, che non sarebbe tanto meglio. I motivi dello stallo sono noti: un primo ministro imprudente e ossessionato dall’uscita dall’Europa, un Partito conservatore prigioniero dei fanatici della Brexit e un totale asservimento dei mezzi d’informazione di destra. In tutto ciò molte forze che dovrebbero contrapporsi a questa tendenza, dall’opposizione agli imprenditori, si rifiutano di chiedere una soluzione migliore perché temono di essere bollate come antidemocratiche e incapaci di accettare il risultato del referendum. Quindi si evita di dire apertamente quello che è ovvio: il Regno Unito non ha altra scelta se non di convivere con il continente di cui fa parte. Il Regno Unito Globale è uno slogan senza senso. Il 1 gennaio 2021 sarà l’inizio di un nuovo capitolo nel rapporto con l’Europa. Naturalmente il paese dovrà stringere accordi commerciali su tutto, dai prodotti biologici alle automobili. Lo stesso succederà con i servizi. Dovrà trovare il modo di coesistere con 450 milioni di persone che abitano dall’altra parte del canale della Manica. Dato che queste persone sono più numerose, nella trattativa otterranno più vantaggi di quanti ne otterrà Londra. Solo gli ideologi della Brexit, che vivono in un mondo dei sogni simile a quello di Donald Trump, la pensano diversamente.
Fronte compatto
Qualche giorno fa Carolyn Fairbairn, presidente della Cbi, l’organizzazione che rappresenta gli imprenditori britannici, è riuscita a riunire 71 associazioni e istituzioni, raggruppando virtualmente l’intera economia britannica per sottolineare le disastrose conseguenze di una separazione senza accordo. Steve Elliott, amministratore delegato della Chemical industries association, ha confermato che l’industria chimica “ha bisogno di un accordo”. Ian Wright, amministratore delegato della Food and drink association, ha dichiarato che “non firmarlo metterebbe a repentaglio la qualità di cibo e bevande”. La stessa posizione è stata espressa dagli agricoltori, dai contabili, dall’industria farmaceutica, da quella della ceramica, dalla City, dalle case automobilistiche, dalle società che gestiscono gli aeroporti, dalle compagnie aeree, dall’industria energetica, dal settore creativo e dalle aziende tecnologiche. Perfino i proprietari terrieri hanno fatto sentire il proprio peso. Non avevo mai visto un fronte così compatto, formato da ogni settore dell’economia britannica. Eppure quasi nessuno ne ha parlato.
Anche se il 1 gennaio non si raggiungerà alcun accordo, bisognerà comunque trovare una soluzione per il 2021 e l’intransigente Unione europea dovrà scendere a compromessi. Soprattutto dovrà farlo il governo britannico. Un accordo onnicomprensivo che includa beni, servizi e standard normativi , che rispetti gli interessi dell’Unione e l’integrità dell’accordo del venerdì santo (il trattato di pace in Irlanda del Nord firmato nel 1998) è inevitabile. Boris Johnson mente quando sostiene che il Regno Unito ha bisogno solo di un accordo alla canadese. Serve di più.
Anche limitandoci ai dati, ovvero il fulcro dell’economia contemporanea, un accordo alla canadese è inadeguato. L’Unione non può permettere ai servizi finanziari e alle aziende tecnologiche britanniche di sottrarsi al rispetto degli standard europei sui dati, altrimenti Londra diventerebbe un centro globale di riciclaggio dei dati. Senza un accordo su questi standard, i servizi finanziari britannici rischiano il collasso. E lo stesso vale per ogni attività che usa i dati.
Il governo sembra indifferente a tutto questo. Il Partito laburista, a quanto pare, sta addirittura valutando la possibilità di votare l’accordo di Johnson, per dimostrare di essersi lasciato alle spalle la crociata contro la Brexit. Sarebbe un errore clamoroso. La responsabilità di questo fiasco dev’essere solo di Johnson e del Partito conservatore. I paladini della Brexit e i trumpiani possono sfidare la marea. Ma la verità, e con essa la prosperità del Regno Unito, hanno bisogno di altro.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul numero 1385 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati