“Lucha tu yuca, taíno, lucha tu yuca” (lotta per la tua yucca, taino, lotta per la tua yucca) è il ritornello di una canzone che ha invaso l’isola. La metafora svela una realtà che i mezzi d’informazione ufficiali nascondono: per poter sopravvivere alle difficoltà quotidiane bisogna violare la legge, nonostante i controlli.
I cubani oltrepassano la linea della legalità con la tranquillità di chi è abituato a farlo fin da bambino, comprando al mercato nero, sottraendo risorse allo stato o esercitando una professione per cui non sono abilitati.
In un panorama di schizofrenia economica, in cui convivono due monete da più di quindici anni, l’ossessione nazionale è la ricerca dei pesos convertibili. Con questi si aprono le porte di negozi pieni di cianfrusaglie, in cui un litro di latte può costare lo stipendio di quattro giorni di lavoro. Ma ci sono oggetti e servizi che neanche quelle banconote colorate possono comprare: una casa, una macchina, un giornale straniero, una linea telefonica fissa o una connessione internet.
Da mesi la speranza di cambiamenti nata con il passaggio di potere a Raúl Castro è svanita. Al desiderio di maggiore flessibilità, il fratello di Fidel ha contrapposto una disciplina militare per far aumentare la produzione agricola e ha moltiplicato gli appelli al sacrificio. Ma gli effetti della sua politica non si sono ancora visti nelle tasche dei cubani.
Di fronte alla lentezza e alla mancanza di volontà politica di cambiare, guardiamo verso l’alto e canticchiamo come una premonizione questo ritornello: “El cacique delira, está que preocupa, tú taíno, tú, lucha tu yuca” (il cacicco delira, c’è da preoccuparsi, tu taino, tu lotta per la tua yucca).
*Traduzione di Sara Bani.
Internazionale, numero 837, 12 marzo 2010*
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