A Cuba i mezzi di trasporto cambiano a seconda della situazione economica, scrive Yoani Sánchez.

Vent’anni fa le strade cominciarono a riempirsi di biciclette e a svuotarsi di macchine. Non era una moda per proteggere l’ambiente o tenersi in forma, ma la conseguenza della fine dei sussidi sovietici.

Il rifornimento di petrolio a prezzi preferenziali si interruppe, i trasporti pubblici si fermarono e mio padre perse il lavoro come macchinista di treni. In quegli anni per arrivare al lavoro ci si poteva mettere anche mezza giornata.

Poi arrivarono i carichi di biciclette dalla Cina, che furono distribuiti tra operai e studenti modello. Il premio per un lavoro ben fatto o per l’appoggio ideologico incondizionato non era un viaggio in Germania Est o l’ultimo modello di Lada, ma una fiammante bicicletta Forever. Si diffusero i parcheggi per le bici e mio padre aprì un’officina per riparare le ruote bucate. Anche le donne più anziane, restie a mostrare le gambe, si adattarono alla situazione.

Con la dollarizzazione dell’economia, i funzionari, gli artisti e gli stranieri che vivevano a Cuba furono autorizzati a importare le loro auto. I turisti potevano noleggiare una Peugeot o una Citröen. Le strade si riempirono di nuovo di macchine e le bici diminuirono, perché non arrivavano più i carichi via mare, i pezzi di ricambio erano pochi e i cubani si erano stancati di pedalare.

Oggi, grazie a un piccolo miglioramento dei trasporti pubblici, molti si sono disfatti della compagna a due ruote. Come se bastasse questo per dimenticare la crisi.

Yoani Sánchez è una blogger cubana. Il suo blog è tradotto in quattordici lingue, tra cui l’italiano. Vive all’Avana, dove è nata nel 1975. In Italia ha pubblicato Cuba Libre (Rizzoli 2009). Scrive una rubrica settimanale per Internazionale.

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