Insiema al papa, che presto verrà a Cuba, ci sarà anche uno splendido coccodrillo. L’animale era stato portato illegalmente in Italia dall’isola e papa Benedetto XVI ha deciso di restituirlo alla sua terra, forse per dimostrare che Cuba può tornare a recuperare il posto che le spetta nel mondo. Quando i due atterreranno all’aeroporto di Santiago de Cuba, tutto sarà tranquillo e una folla festante darà il benvenuto al pontefice. L’evento è stato preparato con molto anticipo. Nelle ultime settimane in tutti i posti di lavoro si sono svolte riunioni per convincere i cubani a partecipare alle messe officiate dal papa. “Nessuno deve mancare”, dicono le autorità. Come sempre queste convocazioni hanno l’aria di un ordine. Il governo vuole dare un’immagine di normalità, convincere il mondo che le riforme di Raúl Castro vanno avanti senza ostacoli. Ma la realtà non è così semplice.
Già da qualche settimana, prima del grande arrivo, la temperatura è salita. Il 13 marzo all’Avana un gruppo di 13 persone ha occupato il santuario di Nuestra señora de la caridad del cobre, chiedendo di far arrivare alcune richieste a Joseph Ratzinger. Due giorni dopo, a mezzanotte, la gerarchia religiosa ha autorizzato lo sgombero degli occupanti. L’intesa tra la polizia politica e il cardinale Jaime Ortega ha fatto storcere il naso a molti, e ha riportato a galla i dubbi sul ruolo sociale del clero. Perfino quelli che nel 2010 avevano applaudito il dialogo tra la chiesa e il governo per la scarcerazione dei prigionieri politici sono rimasti delusi dalla vicenda. Lo sgombero forzato ha danneggiato l’immagine della chiesa cubana, al punto da mettere a repentaglio il ruolo delle gerarchie ecclesiastiche nel processo di transizione.
Nel frattempo si sono intensificati gli arresti indiscriminati da parte della polizia. D’altronde bisogna tenere “pulita” l’isola per quando il santo padre celebrerà le sue omelie. Una tecnica è quella di minacciare in anticipo gli oppositori, invitandoli a non scendere in strada durante la visita papale. Le ultime proteste delle Damas de blanco si sono concluse con l’arresto delle manifestanti. Tra l’altro il papa arriva nell’isola pochi giorni dopo il nono anniversario della cosiddetta primavera nera del 2003, quando furono arrestati 75 dissidenti e giornalisti indipendenti. Ogni anno la commemorazione di questo evento coincide con una settimana di tensioni tra la polizia e gli oppositori del governo.
Quest’anno le proteste sono state accompagnate dalla richiesta degli attivisti per i diritti civili di essere ricevuti dal papa. Le stesse Damas de blanco hanno chiesto a Benedetto XVI di concedere loro almeno un minuto e ascoltare il racconto dell’altra Cuba, quella che le autorità non vogliono mostrare. Per ora non ci sono segnali di una disponibilità del papa a incontrare le Damas o qualunque rappresentante della società civile. Questo potrebbe essere il principale errore della visita papale, una visita che ha le stesse connotazioni di quella di Giovanni Paolo II del 1998, quando il papa polacco pronunciò la celebre frase “Cuba apra al mondo e il mondo apra a Cuba”. Quattordici anni dopo siamo ancora in molti a sperare che almeno “Cuba apra a Cuba”. Ma l’obiettivo finale potrà essere raggiunto solo se il papa si farà portavoce di tutti i cubani, anche di quelli che vivono su quest’isola, ma sono invisibili come un coccodrillo addormentato.
*Traduzione di Andrea Sparacino.
Internazionale, numero 941, 23 marzo 2012*
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