La nuova frattura dei curdi iracheni
È passato esattamente un anno da quando, il 25 settembre 2017, il Kurdistan iracheno è andato alle urne per il referendum. Anche se il 97 per cento dei curdi all’epoca ha votato a favore dell’indipendenza, la competizione tra i due maggiori partiti (Unione patriottica del Kurdistan, Puk, e Partito democratico del Kurdistan, Kdp) oggi li sta portando nella direzione opposta. La sfida è sulla nomina del futuro presidente dell’Iraq.
Quale partito ha il diritto di esprimere il candidato? Secondo il sistema informale di spartizione del potere in Iraq, il capo dello stato dev’essere un curdo, il presidente del parlamento un sunnita e il primo ministro deve provenire dalla comunità sciita, maggioritaria nel paese.
Il sogno sparito
In passato, i due principali partiti curdi hanno sempre trovato un compromesso per la nomina del candidato alla presidenza. Ma questa volta si sono presentati divisi alla scadenza del 2 ottobre, presentando ciascuno il suo candidato. Il parlamento federale iracheno dovrà dunque votare e decidere tra i due.
Il nuovo presidente dovrà giurare sul Corano che lavorerà per un Iraq unito, come previsto dalla costituzione, sebbene entrambi i candidati, Barham Salih, nominato dal Puk, e Fuad Hussein, del Kdp, un anno fa abbiano votato per l’indipendenza del Kurdistan. “Ma i tempi sono cambiati”, ha detto uno dei due in conferenza stampa dopo un incontro con l’influente leader religioso Moqtada al Sadr.
Le elezioni parlamentari nella regione semiautonoma curda si sono svolte il 30 settembre. Il sogno storico di uno stato curdo indipendente è ormai sparito dalle promesse dei candidati. Tutti adesso cercano di ottenere un peso maggiore nella politica di Baghdad.
(Traduzione di Francesco De Lellis)