Baghdad e il Vaticano sono al lavoro per organizzare la storica visita di papa Francesco in Iraq, in programma per marzo, grazie a una fitta collaborazione tra lo stato iracheno e i vertici della chiesa cattolica irachena. Ma gli esperti a Baghdad non sono sicuri che il papa riuscirà nel suo obiettivo, perché alcune milizie sconosciute stanno minacciando lo stato e le forze governative.
Si tratterebbe di una visita “senza precedenti e inattesa”, ha scritto il quotidiano iracheno Al Zaman. Sia perché sarebbe il primo viaggio all’estero per papa Francesco dopo l’esplosione della pandemia di covid-19; sia perché sarà una “visita storica” perché sarà il primo papa a visitare l’Iraq dopo decenni. Negli ultimi vent’anni altre visite programmate sono state tutte cancellate all’ultimo momento per problemi di sicurezza.
Una delle tappe principali dei quattro giorni del viaggio papale sarà Mosul, la città occupata dal gruppo Stato islamico tra il 2014 e il 2017. Molti dei cristiani di questa regione non sono ancora tornati alle proprie case a causa delle tensioni tra i gruppi armati, ma anche perché le infrastrutture cittadine sono ancora in gran parte devastate.
Il papa dovrebbe poi andare nella città di Ur, non distante da Mosul, per pregare nella casa del profeta Abramo e incontrare i rappresentanti di numerose delegazioni e religioni. Per questo il ministero degli esteri ha definito la visita un “messaggio di pace”.
Superare le divisioni
Riguardo alla visita il patriarca dei cattolici caldei in Iraq, il cardinale Louis Raphael I Sako, ha chiesto agli iracheni di “restare uniti, perdonarsi a vicenda e schierarsi con lo stato contro la diffusione incontrollata di armi”, pur ricordando che “alcuni gruppi si sono impossessati dei beni dei cristiani”. Il cardinale ha anche evidenziato che “il numero di cristiani in Iraq è diminuito da un milione e mezzo a 500mila persone”. Una commissione formata da cinque persone, nata su proposta del potente leader religioso sciita Muqtada al Sadr, ha avviato i suoi lavori cominciando a ricevere gli esposti di cittadini cristiani ai quali le milizie sciite hanno confiscato i beni, con l’intento restituirli ai proprietari originali.
Il dottor Sa’ad Salloum, cofondatore del Consiglio iracheno per il dialogo interreligioso, sostiene che il papa “non arriva in veste di capo dello stato del Vaticano, ma piuttosto in quanto leader della chiesa cattolica mondiale”. Per questo Francesco dovrebbe visitare la città santa sciita di Najaf e incontrare il grande ayatollah Ali al Sistani, considerato l’equivalente di un papa dagli sciiti di tutto il mondo. Si tratterà di un incontro tra due simboli di due religioni abramitiche.
Safaa Elias, ricercatore e professore di sociologia politica, afferma che l’importanza della visita non riguarda solo la dimensione religiosa, ma conta anche il suo tempismo e le condizioni in cui vivono oggi gli iracheni, colpiti da divisioni e fratture nella sfera politica. “La visita del papa è un appello esplicito a tutte le religioni in Iraq, a tornare all’armonia sociale, e allo stesso tempo un messaggio alla regione e al mondo intero per dire che l’Iraq è pronto alla coesistenza e all’accettazione della diversità”, aggiunge lo studioso.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
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