Le elezioni del 10 ottobre in Iraq si sono svolte in modo tranquillo e pacifico. Secondo l’alta commissione elettorale i risultati sono i seguenti: il movimento del leader sciita Moqtada al Sadr ha vinto le elezioni aggiudicandosi 73 seggi, seguito dal partito Taqaddum (progresso), guidato dall’ex presidente del parlamento Mohammed Halbousi, con 41 seggi. La coalizione Stato di diritto guidata dall’ex premier Nouri al Maliki ha conquistato 37 seggi, mentre il Partito democratico curdo guidato da Masoud Barzani ne ha ottenuti 32.
Le donne candidate hanno stupito gli uomini conquistando 97 seggi sui 329 totali del parlamento iracheno. È stato uno shock per i principali partiti islamici.
I candidati indipendenti hanno infranto il monopolio dei partiti tradizionali ottenendo 20 seggi. Due movimenti nati dalle proteste del 2019 si sono aggiudicati 18 seggi.
L’attore principale
Il vincitore principale, come era prevedibile, è stato il popolare religioso Moqtada al Sadr, che il 15 luglio aveva deciso di boicottare le elezioni dichiarando che lo svolgimento di un voto libero e corretto sarebbe stato impossibile nel contesto della crisi politica in corso. Ma come al solito ha poi cambiato idea decidendo di prendere parte alla consultazione. Non è stata una grande sorpresa. Anche se i suoi sostenitori si aspettavano che conquistasse i cento seggi necessari a formare il prossimo governo, il suo movimento resta comunque l’attore principale in campo. Con qualche alleanza – per esempio con i curdi, che hanno accolto con favore la sua vittoria, con i blocchi sunniti e con gli indipendenti – potrà mettere insieme una coalizione ampia abbastanza da formare il governo.
Ma non sarà così facile. Il grande perdente di queste elezioni è stato l’Iran. Le formazioni legate a Teheran sono rimaste sconcertate dal brusco declino della loro popolarità. La milizia filoiraniana Fateh ha perso 31 dei 46 seggi conquistati alle ultime elezioni del 2018. Altre milizie hanno ridotto la loro presenza in parlamento a soli quattro seggi. Finora la loro reazione è stata una sonora protesta. Dopo un vertice di emergenza il leader di Fateh, Hadi al Amiri, ha accusato la commissione elettorale di essersi “arresa alle pressioni straniere”. Il pericolo rappresentato dai perdenti risiede non nei loro consensi ma nelle loro armi. Tre di questi gruppi hanno minacciato una “guerra civile tra sciiti” se i risultati saranno confermati. Sotto questa minaccia la commissione elettorale ha avviato un riconteggio manuale dei voti in 112 seggi, che ha portato solo a pochi minimi cambiamenti nei numeri. I perdenti attendono ancora, con il dito sul grilletto.
È vero, sono state elezioni tranquille e pacifiche, ma chi può dire cosa accadrà ancora nell’imprevedibile Iraq.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
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