In Iraq la crisi del carburante alimenta contrabbando e proteste
“È incredibile, una crisi del carburante nel paese del petrolio!”, grida un tassista che sta aspettando da quasi un’ora per il proprio turno alla pompa.
I problemi con l’approvvigionamento di carburante proseguono nella capitale irachena Baghdad e in altri governatorati, soprattutto dopo che dieci giorni fa diverse stazioni di rifornimento hanno chiuso i battenti.
La cosa strana è che questa crisi si stia verificando in un paese che è il secondo maggior esportatore dell’Opec, l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio. Con un volume di produzione stimato in tre milioni e mezzo di barili al giorno, il petrolio rappresenta il 90 per cento delle esportazioni dell’Iraq.
Problemi simili
I lavoratori dei distributori di Baghdad spiegano l’assenza di benzina con “la carenza di carburante iraniano”, in quanto l’Iraq da anni dipende dalla Repubblica islamica per una parte del proprio consumo quotidiano. Questa dipendenza è cresciuta dopo la distruzione delle raffinerie irachene, in particolare quella di Baiji nel governatorato di Salah al Din, che provvedeva a circa il 60 per cento del fabbisogno iracheno.
Il governatore di Niniveh, Najm al Jubouri, segnala che i prodotti petroliferi sono ad alto rischio di contrabbando. E i fatti gli hanno dato ragione: in un giorno le forze di sicurezza locali hanno sequestrato undici camion che trasportavano illegalmente benzina dall’Iraq ai paesi vicini, principalmente verso l’Iran.
L’Iran sta affrontando gli stessi problemi con la benzina, ma essendo sottoposto a sanzioni internazionali la sua necessità di dollari statunitensi è molto più importante. Il timore adesso è che questa crisi dei carburanti si diffonda alle città meridionali dell’Iraq, come Bassora e Dhi Qar, dove già circolano ampiamente volantini che invocano nuove proteste.
(Traduzione di Francesco De Lellis)