Il nuovo disco dei Darkside sperimenta per distruggere suoni familiari e rimetterli insieme facendoli sembrare alieni. Non sorprende, visto che questo progetto di Nicolás Jaar e Dave Harrington è sempre esistito in uno spazio al confine tra rock psichedelico, elettronica e jazz. Stavolta però porta all’estremo le sue tendenze decostruzioniste. La musica fa continue deviazioni, partendo da elementi riconoscibili che poi si trasformano in qualcosa di nuovo. Con l’aggiunta del batterista Tlacael Esparza le fondamenta ritmiche sono più forti che mai e aggiungono una qualità tattile a un disco che altrimenti sarebbe elusivo. Oltre la sperimentazione, Nothing contiene un peso emotivo ben distinto. C’è la tensione tra controllo e caos, che ci porta al cuore di questo lavoro: un esercizio nel lasciare andare aspettative e convenzioni. In un panorama generale dove tanta musica punta all’immediatezza, questo album esalta il disorientamento, premiando chiunque voglia perdersi in paesaggi sonori imprevedibili.
David Saxum, Northern Transmissions


Per Richard Dawson i grandi progetti non sono insoliti: l’album The ruby cord si apre con un pezzo che dura 41 minuti e il protagonista di ogni brano di Peasant è un diverso abitante del medioevo. Per il suo ottavo album solista, invece, il migliore cantante folk britannico moderno ha scelto un punto di vista più stretto: End of the middle si concentra su diverse generazioni di una famiglia e su come i modelli di comportamento si ripetono attraverso gli anni. Questa idea permette a Dawson di offrirci un’istantanea di persone ordinarie nel Regno Unito di oggi e le sue storie di stress e gioie della vita quotidiana sono rese ancora più concrete da testi che fanno riferimento a riunioni su Zoom, discorsi del testimone di nozze “goffamente presentati in PowerPoint” e consigli sulle bollette. Tra i racconti che parlano di come trovare la catarsi in un orto (Polytunnel), di un ragazzo che si ritrova coinvolto in risse a scuola proprio come un tempo faceva suo padre (Bullies) e di una nonna che si chiede dove sia andato a finire il tempo (Gondola), sono molto frequenti i momenti d’intuizione, poesia e calore umano. Uno sfondo musicale relativamente scarno dà ai testi lo spazio che meritano, con solo l’occasionale intervento di un clarinetto come distrazione. Dawson è un talento unico.
Phil Mongredien, The Observer
Straordinario omaggio a David Oistrakh (1908-1974), uno dei massimi violinisti del novecento. Questo cofanetto riunisce tutti i suoi dischi ufficiali usciti in Europa su etichetta Columbia o His Master’s Voice insieme a un’impressionante quantità di documenti rari. Il contenuto dei primi 27 cd è proposto in ordine cronologico (1953-1972) rispettando la presentazione editoriale degli lp originali, comprese le copertine. È materiale molto noto, ma vale la pena di ricordare che comprende punti di riferimento assoluti della storia del disco: il concerto di Brahms con Otto Klemperer, quello di Beethoven con André Cluytens, quello di Sibelius con Sixten Ehrling e molti altri. Forte di una metrica implacabile, una sonorità sontuosa, un virtuosismo trascendentale e un’infinita generosità, ogni registrazione del violinista di Odessa è un miracolo di potenza, equilibrio, profondità, calore e dominio assoluto, sempre con il respiro immenso che resta la sua firma. È però la seconda parte di questo box che merita un’attenzione particolare, con 31 dischi pieni di registrazioni inedite, esibizioni dal vivo o antichi 78 giri sovietici. Presentano Oistrakh in un repertorio insolito, come quello di puro virtuosismo, ci fanno riscoprire il suo Bach e lo propongono nella musica da camera di Schumann e Chausson. Alla fine possiamo anche vedere il documentario David Oistrakh, artista del popolo?
Jean-Michel Molkhou, Classica