Venezia vista dal ponte di una grande nave
C’è un momento nel quale di Venezia non resta che una sensazione, e San Marco, la basilica della Salute, ogni cosa è niente, c’è solo un gran pavese elettrico che illumina il cielo notturno sopra la città. Quelle lampadine incorniciano le grandi navi ormeggiate giù in porto. Si vedono perfino dal ponte della nave che, superato anche il bordo orientale della città, a Sant’Elena, vira verso la bocca di porto del Lido e poi punta il largo per lasciarsi ogni cosa alle spalle. Quelle luci ormai sono lontane chilometri. In mezzo dovrebbe esserci la città, interamente distesa da oriente a occidente. Ma non c’è. Venezia sembra non esserci più, pare scomparsa, trasfigurata in quel baluginare che vorrebbe essere festoso e che invece suggerisce un’assenza struggente.
Queste navi portano turisti e denaro, ma sono molti i veneziani che non vorrebbero vederle più consumare la laguna e la città. La prospettiva con cui le si osserva e le si racconta è per lo più sempre la stessa: lo sguardo va dalla città verso le navi. Un pomeriggio di fine ottobre mi sono imbarcato per una crociera nel Mediterraneo orientale – da Venezia verso la Croazia e il Montenegro, con ritorno in laguna – per provare a rovesciare la prospettiva e vedere l’effetto che fa.
I 275 metri di lunghezza e i tredici ponti sui quali sono distribuiti negozi, bar, ristoranti e un migliaio di cabine, fanno di questa nave una città capace di ospitare più di 2.500 passeggeri e 728 uomini e donne dell’equipaggio. Ebbene, a bordo di questo gigante, alto come nessun edificio a Venezia è stato mai, la città rapidamente si fa evanescente e appunto scompare. E non è perché è notte che lo sguardo si accorcia. È che il corpo di Venezia pare quasi invisibile agli occhi dei passeggeri, quasi assente perfino come aspettativa. L’attenzione è soprattutto altrove.
Già ore prima della partenza, a bordo sono aperti i bar, funzionano le piscine, c’è da bere e da mangiare. Così, anche se la nave è ancora ferma in porto, si fa già quasi inavvertita la presenza della città, dei suoi campanili, delle sue case, e forse anche dell’acqua.
In mare
Quando si parte c’è una fiammata d’eccitazione ma Venezia esiste appena per un momento: all’arrivo in bacino San Marco. La Giudecca e le Zattere sono solo la rampa di lancio: lo spettacolo è il palazzo Ducale. E allora ecco tutti sul ponte a far fotografie, a salutare con la mano una città che non risponde.
Gli altoparlanti della nave alternano musica latinoamericana e disco anni settanta, a suggerire un’aria di festa. Ma in riva dei Sette Martiri una buona metà dei passeggeri ha già salutato davvero la città ed è scesa verso i ponti inferiori. Infine, arriva quel momento emozionante e magico in cui si attraversa la bocca di porto e la laguna diventa mare. Gli altoparlanti diffondono The hustle ma inutilmente, poiché a questo punto sul ponte nessuno o quasi è rimasto ad ascoltarla, né ad ascoltare il mare.
E allora Venezia sembra niente di più che un abbellimento del biglietto: un abbellimento parzialmente inessenziale. Se la nave fosse partita da un porto diverso, forse adesso non farebbe una gran differenza. Forse a molti passeggeri sembrerebbe lo stesso. Venezia, bene che vada, appare già come una, e una soltanto, delle mille attese che il viaggiatore, come un bimbo a Natale, felicemente coltiva.
Teatri, pub e una piccola biblioteca
Appena in mare aperto, in teatro, ballerini e cantanti ci danno dentro e sono gratificati da applausi a scena aperta. Nel lungo corridoio che percorre il gigante bianco da poppa a prua già si può fare shopping, provare profumi, creme, cosmetici, borse, bigiotteria, orologi.
Le dimensioni della nave regalano stupore e meraviglia e ci si mette molto tempo per scoprirne ogni anfratto percorribile. Ci si accorge presto che, ovunque si possa arrivare, ebbene lì c’è almeno un bar. Sono tanti da perderne il conto. Sono tra loro diversi e diversamente funzionano, di giorno e di sera, quando in alcuni risuona la musica dal vivo. C’è anche un pub, e i tanti schermi che ne affollano le pareti trasmettono partite di calcio senza fermarsi mai. Superando una porta del pub si entra in una piccola biblioteca. Gli scaffali offrono libri divisi per lingua, e non sono pochi. Ma pochi sono i libri e gli autori noti ai più.
Per la cronaca, i lettori italiani hanno a disposizione un dizionario, due copie di A passo di gambero di Umberto Eco, una copia di Bíos. Biopolitica e filosofia di Roberto Esposito, Il libro della giungla di Kipling, La conquista di Gerusalemme di Franco Gargiulo e infine L’assistenza sociale dalle IPAB alle ASP di Dario Recubini, anch’esso disponibile in due copie. Tutto qui. Un po’ meglio va a tedeschi, portoghesi, spagnoli e inglesi, e forse perfino ai russi, anche se vai a capire quei titoli in cirillico che storia raccontino. Gli olandesi, beati loro, possono scegliere addirittura tra Stieg Larsson e John Grisham. Ma i libri rimangono lì, indisturbati e impotenti di fronte alla lusinga che qui si annida ovunque ed è una carezza alla quale non si può resistere, alla quale non si vuole più resistere.
Sui ponti
È ciò che capita, per dire, sui ponti superiori, quelli all’aperto, incarnazione d’ogni promessa da brochure pubblicitaria: piscine, gelateria, giochi d’acqua e bar che sembra di stare a Copacabana. C’è l’animazione, si balla e si fa ginnastica, si gioca.
Ogni cosa ha una sua giusta luce e naturalmente c’è anche la musica, che sulla nave è ovunque. E la scelta musicale, come quella delle luci, delle strepitose e lisergiche moquette, e di ogni altra cosa, ha certamente una sua scientificità.
Negli ambienti chiusi si distende nell’aria un tappeto di note confortanti, con una quantità di versioni struggenti di grandi classici italiani e grande sfoggio di arrangiamenti orchestrali e violini dappertutto. All’aperto, tocca invece alla musica latinoamericana e alla disco, con una prevalenza degli anni settanta. E si capisce che debba essere così, poiché è qui che sta la festa.
Durante il giorno, sui ponti più alti i bambini corrono felici perché è qui che sono le piscine, i giochi d’acqua, l’animazione. Gli adulti passeggiano sul ponte panoramico della nave dal quale ci si perde nell’infinito poiché sembra davvero di poter volare sul mare.
Altri se ne stanno ai tavolini, decine di tavolini, e chiacchierano, scherzano, organizzano i giorni che verranno, scegliendo tra gli spettacoli, le escursioni a terra, i trattamenti nella spa, le serate a tema e ogni altra cosa sia presente nello sconfinato catalogo delle possibilità che qui sono tutte a portata di mano. Basta pagare e ogni desiderio si fa realtà.
Soldi ed esperienze
Il prezzo per salire a bordo, infatti, copre solo il posto in cabina e il cibo, e determina il tipo di sistemazione che si sceglie, o meglio, l’esperienza che si intende vivere, perché proprio così – “esperienze” – sono chiamate le classi nel catalogo dalla compagnia. Il resto, a partire dall’acqua, si paga. Non è cosa di poco conto poiché in mare non c’è rubinetto che si possa aprire per dissetarsi e occorre acquistare acqua confezionata per l’intera durata della crociera. E naturalmente quell’acqua finirà per costare molto. Una bottiglia da un litro costa poco più di tre euro. Altrimenti si può scegliere un pacchetto che include, insieme all’acqua, anche bevande analcoliche, gelato artigianale e altro. Ce ne sono diversi. Quello meno caro parte da una ventina di euro al giorno. E perfino le mance sono forfettizzabili alla partenza sotto la voce: “Quota di servizio alberghiero”.
È pagando che si costruisce ogni aspetto del tempo libero. Per questa ragione, la nave appare molto simile a un centro commerciale, tradendo anche la brochure e certe sue suggestioni enfatizzate da un utilizzo eccessivo e sospetto di punti esclamativi. “L’esperienza”, andando al sodo, è fatta di tanti pacchetti che si acquistano su un catalogo. Il pacchetto “Bon voyage” per 49 euro include una bottiglia di prosecco, due bicchieri che si possono tenere come souvenir, un cestino di frutta fresca e un vassoio di tartine che sarà consegnato in camera con la lettera di benvenuto del comandante. “Il modo perfetto per cominciare il tuo viaggio di scoperta!”, spiega la brochure, dando del tu al passeggero.
Con 27 euro ci si assicura invece il pacchetto “Vip” – reclamizzato con la frase: “Sorprendi la persona amata con classe!” – che include spumante e un cestino di frutta di stagione. “Sette tipi diversi”, viene specificato, a proposito della frutta. Con 69 euro ci si porta via il pacchetto “Romantic sunset” che include una bottiglia di champagne, due calici-souvenir e un vassoio di fragole immerse nel cioccolato. “Dieci pezzi”, puntualizza il catalogo prima di invitare a brindare “con chi ami nell’intimità della vostra cabina”.
Naturalmente, ci sono anche i pacchetti per le escursioni a terra quando la nave fa sosta in porto. E anche in questo caso si trova un po’ di tutto: la visita delle città con l’accompagnamento di guide turistiche, le passeggiate nelle riserve naturali, le attività sportive, le gite lungo la costa su un motoscafo. Chi invece resta a bordo può scegliere il massaggio balinese con pietre laviche per 104 euro o il Thermal area cruise pass a 58 euro per avere accesso a sauna finlandese, bagni turchi e zona relax vista mare.
Ecco, insomma, materializzarsi un pezzo di quel “divertimento organizzato” di cui scrisse David Foster Wallace nel suo Una cosa divertente che non farò mai più, rappresentazione insuperabile di un viaggio in crociera. Parte del “divertimento organizzato” ha un prezzo, e alla fine il conto rischia di essere salato.
I passeggeri, comunque, pagano, e sembrano farlo con una certa noncuranza. D’altra parte sono in vacanza, sono in crociera, sono nel pieno della loro “esperienza”. Aiuta anche il fatto che sulla nave non corra denaro contante: al suo posto si usa una asettica tessera, che serve sia come chiave della cabina, sia come documento per entrare e uscire dalla nave e, appunto, come carta per gli acquisti. Ogni cosa sarà addebitata sul conto della cabina e il conto saldato a fine crociera. Durante il viaggio quasi non si avrà la sensazione di spendere: basta una firmetta su un foglietto e via. E tutto ciò contribuisce a creare una condizione di beatitudine che non può avere termine perché per ogni desiderio spunta una risposta adeguata e immediata.
Al ristorante
Di questa beatitudine, uno dei luoghi d’elezione è il ristorante-buffet. Sta anch’esso sul ponte dove si trovano le piscine e ne occupa una buona porzione a poppa, proprio sotto la discoteca. È aperto quasi ininterrottamente e ininterrottamente sono rimpiazzate le pietanze man mano che finiscono, in un equilibrio dinamico che evita il classico assalto da frenesia alimentare.
C’è di tutto: carni, contorni, salumi, dolci, insalate, formaggi, hamburger, hot dog, pasta. E ogni cosa è proposta in diverse varianti. Attorno al buffet vero e proprio esistono anche alcune aree, per così dire, monotematiche. Per esempio, un fast food, un banco per vegetariani, un ristorante dedicato espressamente alla pasta e anche una pizzeria. E anche questo contribuisce a un’eccitazione tranquilla che non resta mai insoddisfatta.
Alla fine, è quasi impossibile desiderare qualcosa perché quella cosa è già lì, è sempre lì, è già lì prima ancora che si abbia consapevolezza di volerla e, anzi, sembra sia lì a suggerire il desiderio. Si trova un tavolo, ci si riempie il piatto, si mangia e poi si ricomincia da capo, quanto si vuole. Nessuno dirà nulla, nessuno guarderà male. È un sogno o un incubo, dipende dal punto di vista. Ci si rivolge ai camerieri solo se si vuole bere, perché quello invece si paga.
Tutti in posa
Durante la crociera i fotografi di bordo scattano immagini delle persone impegnate in ogni momento della propria “esperienza”. Già all’imbarco, ancora a terra, il passeggero viene messo in posa per la foto con un piccolo timone tra le mani. Quella foto, insieme alle tante altre che gli scatteranno nei giorni successivi, finirà in un’esposizione all’interno della nave, dove resterà finché non verrà comprata.
La galleria fotografica si trova su uno dei ponti dedicati alla passeggiata e allo shopping. È strategicamente piazzato proprio prima dell’ingresso di uno dei ristoranti. Ci si deve passare quasi per forza ed è inevitabile che lo sguardo finisca sulle pareti e sui pannelli letteralmente tappezzati di immagini.
Le foto sono posate, il passeggero è consapevole del lavoro dei fotografi e raramente è colto di sorpresa. Ecco allora che si potrebbe immaginare una rappresentazione collettiva del viaggio piuttosto artificiale. E invece no: quelle pareti finiscono per essere un racconto trasparente e molto potente di una realtà che, lei sì, è decisamente irreale, rappresentando un desiderio di felicità.
Il risultato è che quello spazio – di fronte al quale si forma sempre una discreta folla – finisce per moltiplicare la sensazione di far parte di una grande festa. È un meccanismo simile a quello che lavora, per esempio, in certe serate a tema, e soprattutto in quella di gala.
“Suggeriamo uno smoking o abito scuro per gli uomini e abito da sera o da cocktail per le donne”, dice la brochure. E d’improvviso la passeggiata sulla nave pare una sfilata, e i volti delle persone si specchiano l’uno negli altri, e gli sguardi sembrano confermarsi vicendevolmente d’essere davvero – anche loro, noi, tutti! – dentro un grande sogno, come quelli che regala la tv.
Momenti di quiete, evasioni impossibili
Naturalmente, in questa festa mobile si aprono varchi anche per momenti di quiete. Ma anch’essi fanno parte dell’“esperienza”. Il teatro è tra questi. Per lo più propone spettacoli che hanno il gusto della tv di una volta, quella ancora ignara di reality e talent, quella dei balletti e del varietà del sabato sera, di strass e paillettes che conservano però un certo grado di pudore e compostezza. Ma l’ultima sera ecco anche il talent show con i componenti dell’equipaggio pronti a esibirsi sul palcoscenico. Chi canta, chi suona la chitarra, chi balla. Ci sono i camerieri, gli ufficiali, sembra una festa. È tutto così rassicurante, e al pubblico piace ogni cosa, che il teatro è sempre pieno e tutti applaudono felici. Perfino al casinò, che ha una clientela consolidata, l’atmosfera è rassicurante, proprio come ogni movimento del croupier.
L’unica vera evasione dal “divertimento organizzato” sembra potersi trovare nella propria cabina, ma è un’illusione: anche qui si è raggiunti dalla grande lusinga, perché anche qui sono distribuiti cataloghi e brochure con l’illustrazione dei pacchetti per arricchire ancora l’“esperienza” e con il programma delle mille altre cose che aspettano il crocerista. Per evadere almeno un attimo, non resta che passeggiare all’aria aperta sul ponte in basso.
Qui, di sera, un silenzio inaspettato circonda il rumore morbido dell’enorme scafo mentre scivola sul mare. L’acqua è così vicina che sembra quasi di poterla toccare. Affacciati a osservare il mare nero si ha tempo per pensare, si passeggia e si fanno pochi incontri, soprattutto qualche fumatore ma, appunto, giusto per il tempo necessario. Sono tutti dentro, dove c’è da fare. L’evasione, insomma, non è che sia impossibile, semplicemente non è cercata e, anzi, pare del tutto indesiderata dai passeggeri.
La nave in un certo senso è una istituzione totale, se così si può dire senza pretesa di esattezza. Saliti a bordo, il confine del mondo si riduce d’improvviso al perimetro della stessa imbarcazione e ciò che resta fuori quasi non esiste più. È nella separazione dalla realtà e nella reclusione volontaria in un mondo diverso che sta la condizione necessaria affinché si possa credere davvero, credere sinceramente, che i giorni di navigazione siano un grande sogno realizzato. La crociera è il tempo della sospensione dell’incredulità che non riguarda più ciò che accade al protagonista di un film, ma riguarda se stessi, ora e nella realtà. Vista da un altro punto di vista, la crociera è una recita perfetta per il piacere dei passeggeri.
La recita della cortesia
Protagonisti necessari di questa recita sono coloro che sulla nave lavorano. Tuttavia, solo agli ufficiali è consentito qualche contatto con gli ospiti. È il caso, per esempio, della serata di gala. “Signore, cogliete l’opportunità di ballare con i nostri ufficiali”, dice la brochure. Per il resto dell’equipaggio quel contatto è quasi impossibile, anche se è sul personale di servizio che grava la riuscita della recita.
Tutto avviene sempre all’insegna di una profonda gentilezza. Ed è questo il centro del meccanismo che dà vita al sogno desiderato dal crocerista. Si può credere o meno alla genuinità di tutta questa cortesia. Ci si può abbandonare all’illusione del migliore dei mondi possibili o, con realismo, ragionare su come la crociera intenda rappresentare se stessa, al di là delle necessità di un sistema che deve essere inappuntabile. E si può anche non porsi affatto il problema. Comunque sia, il personale è perfetto e alla fine l’imponente quantità di sorrisi e cortesia rischia di vincere anche la più strenua resistenza di chi intendesse restare ancorato alla convinzione che si tratti di dovere professionale.
Anche certe domande che hanno cittadinanza nella realtà – ma quante ore lavorano i camerieri? E in che condizioni? – qui rischiano di evaporare, demolite da quei sorrisi che sono come le sirene di Ulisse. E perfino le parole di Foster Wallace sui “ritmi dickensiani” del lavoro di bordo sembrano remote.
Alla fine, i passeggeri sono grati di essere trattati con tutta questa cortesia, ci credono, e per questo sembrano ancor più felici dell’“Esperienza” che stanno vivendo. Ed è allora che la grande illusione si perfeziona: si è pagato il biglietto non per vedere o visitare Venezia, ma per essere ancora spensierati come bambini, per un’avventura della quale si è finalmente protagonisti, per evadere dalla propria esistenza, per avere l’illusione che almeno questa volta il tappeto rosso sia stato srotolato anche per noi.
Ritorno in una città che non esiste
E infatti all’alba dell’ultimo giorno di navigazione, al rientro in porto, sul ponte panoramico ancora una volta non c’è una gran folla a guardare la città schiudersi al passaggio della nave. Sarà anche per il richiamo del buffet che già lavora a pieno regime per la colazione. Lì in basso Venezia si sveglia muta e muore ancora, schiacciata dalla sproporzione che la oltrepassa indifferente.
“Non c’è più alcuna misura”, faceva notare Gianni Berengo Gardin, protestando anche per la “prepotenza visuale” di queste imbarcazioni. Lui, grande fotografo, autore di alcune fotografie memorabili e terribili sul passaggio delle grandi navi per Venezia, diceva: “Io posso immaginare che, vista da lassù, Venezia sia uno spettacolo meraviglioso. Ma in questo modo, vista così, Venezia diventa un modellino, una miniatura, un giocattolo. Non c’è più differenza fra questa Venezia vista dal dorso del mostro e le Venezie artificiali che hanno rifatto in America”. E invece no, neppure questa consolazione: Venezia dalla groppa del mostro non è uno spettacolo meraviglioso. Semplicemente, non è Venezia.
Non è Venezia questa città, piccola che non sembra vera, ridotta a gioco di bambini. Perfino il palazzo Ducale sembra una casa delle bambole. Non può essere davvero Venezia questa cosa costretta a divaricarsi, annichilita da una manifestazione di volontà di potenza che non ha più nulla della misura dell’umano. Forse Venezia finirà come un “letto sfondato da carovane di amanti”, come diceva Marinetti. Nel frattempo, all’ombra delle grandi navi, tutto fatica a resistere tra le sue calli, se non una folla furiosa che fa un giro di giostra, scuote ogni cosa e poi se ne va.