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I piccoli paesi del sud che potrebbero cambiare l’Italia

Vallata, il 21 febbraio 2016. (Andrea Sabbadini)

Al parlamento comunitario di Trevico può accadere di tutto. Per esempio, che nel bel mezzo di una discussione politica qualcuno si alzi in piedi e declami: “Mondo cosa dici, la bellezza sta mettendo le radici”. Pure gli animali, in questo singolare consesso, hanno diritto a intervenire, e allora può andare a finire che ci si trovi ad attendere che un gallo, “simbolo della rinascita agricola”, lanci al microfono il suo personale chicchirichì. Infine, chi avrebbe mai potuto immaginare di ascoltare Somebody to love in versione irpino-lucana, con tanto di arpa e fisarmonica?

Come spiega il poeta, scrittore e agitatore culturale Franco Arminio, che ne è l’ideatore, “i parlamenti comunitari sono composti di casi unici e irripetibili”: il musicante Sergio Santalucia che compone in versi nel dialetto di Montemurro – la “dolce provincia dell’Agri” del poeta Leonardo Sinisgalli – la cantante-performer lucana Caterina Pontrandolfo, il cuntista di Altamura Donato Emar Laborante.

Sono i cervelli che hanno resistito alla grande fuga dai paesi del Mezzogiorno interno, quelli che trovo riuniti in un week end di fine febbraio alla Casa della paesologia di Trevico, “il balcone della Baronia”, quel pezzo d’Irpinia d’oriente che si allunga fino alle Murge pugliesi.

Qui, nel comune più alto della Campania (siamo a quasi 1.200 metri d’altitudine), si sono date appuntamento alcune centinaia di persone che rivendicano con orgoglio il patrimonio, umano e immateriale, di un pezzo di sud Italia in via di dismissione: i centri storici, il silenzio, il vento, “l’abbandono che diventa beatitudine”.

Oggi si può essere paesani in un modo diverso rispetto al passato, non provinciali ma connessi con il mondo

Qualcuno di loro è emigrato e poi rientrato, come Daniele De Michele, alias Don Pasta, dj-performer e “gastrofilosofo militante”, che ha abbandonato gli studi da economista a Parigi per dedicarsi alla parmigiana di melanzane alla salentina e a John Coltrane. Oggi trascorre il suo tempo a farsi invitare a pranzo o a cena da contadini e pescatori per carpire i segreti profondi delle ricette tradizionali, “figlie della condivisione di informazioni tra le persone che appartenevano a una comunità, un’intelligenza collettiva finita vittima della modernità”.

Pure l’antropologo Mauro Minervino è tornato a studiare e raccontare la sua terra in libri come La Calabria brucia (Ediesse) o Statale 18 (Fandango), e descrive la discrasia tra le centinaia di comuni della Sila e l’enorme e disordinata crescita urbana sulla costa, un ammasso informe di abitazioni tenuto insieme dalla “strada” che, costeggiando il mare, circumnaviga la regione per quasi 900 chilometri. Oggi, dice, “si può essere paesani in un modo diverso rispetto al passato, non provinciali ma connessi con il mondo”.

Il manifesto di paesologia

Tra un bicchiere di vino e una fetta di caciocavallo, al parlamento comunitario si discute pure di politica, dalle pale eoliche alle imposizioni europee che cambiano la vita dei contadini. I paesologi sognano “un ’68 delle montagne” e si chiedono perché “la nuova sinistra debba sempre nascere a Roma”. Stilano un documento nel quale si legge: “Noi proponiamo l’intreccio di poesia e impegno civile. Abbiamo bisogno di poeti e contadini. Amiamo Pasolini e Scotellaro, amiamo chi sa fare il formaggio, chi mette insieme il computer e il pero selvatico”.

La seconda festa d’inverno alla Casa della paesologia di Trevico, il 20 febbraio 2016.

È il manifesto politico della paesologia, singolare scienza naturale e sociale che il suo inventore Franco Arminio da Bisaccia, un piccolo comune poco lontano da qui, definisce come “una forma di attenzione ai paesi, in un momento in cui ai paesi non pensa nessuno, neppure chi li abita”. Lo scrittore irpino ha fatto del “viaggiare nei dintorni” un marchio di fabbrica: i suoi libri, da Vento forte tra Lacedonia e Candela (Laterza) a Terracarne (Mondadori), raccontano virtù e contraddizioni di un sud ai margini delle mappe mediatiche. “Quando ero bambino davanti a ogni casa vedevi un animale: un asino, galline, il maiale. Nel 1960 a Bisaccia c’erano tremila muli, quando stavano male li curavano, la morte di un animale era considerata quasi più grave di quella di una persona”, racconta.

Precise richieste politiche

Oggi invece della “civiltà contadina” narrata dal paesologo ante litteram Rocco Scotellaro, sindaco-poeta di Tricarico nella Basilicata del dopoguerra, rimangono poche tracce. I cultori dei piccoli paesi vogliono recuperarne innanzitutto lo spirito comunitario e il rapporto viscerale con i luoghi e la natura.

Trasformare i piccoli paesi in luoghi di accoglienza per i migranti, per i nuovi agricoltori e per gli artisti

Potrebbe apparire un raduno di nostalgici del piccolo mondo contadino antico, questo parlamento comunitario riunito su un cocuzzolo dell’Irpinia, ma non è così. Nel “manifesto di Trevico”, approvato dopo tre giorni di discussioni, si leggono richieste politiche molto precise: l’istituzione di un parco rurale “che parta dall’Appennino ligure e arrivi fino alle montagne della Sicilia”, una legge sui piccoli comuni “che favorisca con investimenti importanti il riequilibrio delle popolazioni sui territori”, lo stop al consumo di suolo e una politica che favorisca l’aumento della superficie agricola utilizzabile. Inoltre, si chiede che gli investimenti nell’eolico siano pubblici e non privati, si dice no allo “sfruttamento delle risorse naturali” e si decide che il 17 aprile voteranno sì al referendum per fermare le trivellazioni petrolifere.

Inoltre, scrivono, “per fermare l’anoressia demografica bisogna mettere al centro il lavoro giovanile e trasformare i piccoli paesi da musei delle porte chiuse e degli anziani soli a luoghi di accoglienza per i migranti, per i nuovi agricoltori e per gli artisti”. Qualche tempo fa, lo stesso Arminio aveva lanciato una provocazione: “Ripopoliamo le aree spopolate dell’Appennino con immigrati e rifugiati”. Nessun sindaco aveva raccolto la proposta.

Ettore Scola, Trevico e il Fiat-nam

La sera si proietta uno dei primi film di Ettore Scola: Trevico-Torino, viaggio nel Fiat-Nam, sceneggiato dall’allora caporedattore della redazione torinese dell’Unità e futuro sindaco comunista di Torino Diego Novelli. Girato in 16 mm e prodotto dalla Unitelefilm, la casa cinematografica del Pci, è la storia di un giovane emigrante, Fortunato Santospirito, che va a lavorare a Mirafiori, si avvicina alla politica grazie a una studente di Lotta continua, ma alla fine si decide a tornare a casa per cambiare le cose nella sua terra.

L’abitazione del regista di Brutti sporchi e cattivi e di Una giornata particolare, 350 metri quadri più 80 di terrazza donati al comune da Ettore e suo fratello Pietro perché fosse messa a disposizione dei cittadini della Baronia per attività culturali, è stata trasformata in casa-museo e i paesologi la usano per le loro iniziative. Si trova in un vicolo a pochi metri dalla bella piazza sulla quale spicca un grande tiglio, nel punto più alto e ventilato del paese, dove nelle estati dell’infanzia di Ettore Scola, in occasione della festa del patrono sant’Euplio, il 12 agosto, veniva montato un telone bianco e i proiezionisti ambulanti facevano conoscere il cinema ai cittadini (come nella Colombia del giovane Gabriel García Márquez, dove due emigranti irpini, i fratelli Francesco e Vincenzo Di Domenico, portarono la settima arte nelle piazze agli inizi del novecento).

Il musicista Sergio Santalucia a Trevico, il 20 febbraio 2016.

Fu in questa piazza attraversata dai venti provenienti dai Balcani che il futuro cineasta – come ha raccontato in Ridendo e scherzando, il film autobiografico che gli hanno dedicato le figlie Paola e Silvia – vide il suo primo film, portato in giro da proiezionisti ambulanti: Fra’ Diavolo di Hal Roach, con Stanlio e Ollio, la coppia più famosa del cinema comico.

Al prossimo parlamento comunitario, annunciano, parteciperanno pure dieci pecore

A Trevico, diceva Scola, la scelta era tra “fare il calzolaio o il falegname, due mestieri che mi affascinavano: da ragazzino frequentavo tutte e due le botteghe, e per una parte della mia vita ho pensato che quello potesse essere il mio destino”. Non è andata così, naturalmente, e oggi un manifesto funebre ricorda l’illustre concittadino, figlio del medico condotto e nipote del notaio che durante il fascismo fu anche podestà.

Trevico-Torino, viaggio nel Fiat-Nam è apprezzato, piace la scelta alla Pasolini di non usare attori professionisti ma operai meridionali veri, ma tra i paesologi fa discutere la scelta artistica di non mostrare mai Trevico. In realtà, a ben scavare, il paese d’origine fa capolino qua e là nelle opere di Scola: la Maria Libera di Brutti sporchi e cattivi è la Madonna locale, mentre in una scena di Splendor viene montato un telone bianco in una piazza flagellata dal vento.

La casa della Comunità provvisoria

In questo paese di poco più di mille abitanti affacciato su una splendida vallata, dove oltre a un bar e a un generi alimentari non c’è più nulla, i paesologi hanno risistemato una vecchia casa del centro storico. Ora è a disposizione, per tutto l’anno, di chi versa una sottoscrizione a un’associazione chiamata Comunità provvisoria: ci si può venire per una residenza letteraria, un progetto artistico o anche solo per una vacanza.

Tra i motti alle pareti, colpisce quello che recita “qui l’Italia un poco sparisce e questa è una cosa buona”. Seduto su un divano sotto una lavagna sulla quale troneggia la scritta “contadino”, Arminio spiega: “L’obiettivo è rivivificare questi paesi, altrimenti destinati alla fine”. Lui lavora a questo obiettivo da tempo. Ha cominciato anni fa nella non molto lontana Cairano, il comune più piccolo della Campania (ha poco più di 300 abitanti), dove aveva messo in piedi una “festa della luce e del silenzio” grazie al supporto economico di un emigrante illustre: Franco Dragone, regista teatrale e direttore per alcuni anni del Cirque du Soleil.

Poi è arrivato il festival estivo La luna e i calanchi ad Aliano: tre giorni di parlamenti comunitari, performance artistiche e reading di poesia nel paesino del materano che ispirò il Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. La scorsa edizione ha registrato numeri record: 15 mila presenze. A Trevico, per ora, l’obiettivo è più modesto. Dopo la casa, si vuole mettere in piedi una “masseria paesologica”. Al prossimo parlamento comunitario, annunciano, parteciperanno pure dieci pecore.

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