I progetti avveniristici per Bologna lasciano indietro molte persone
Fosse stato già operativo, il supercomputer BullSequana XH2000 avrebbe potuto prevedere bel tempo per il centrosinistra alle elezioni comunali di domenica 3 e lunedì 4 ottobre 2021 a Bologna. Il calcolatore da fantascienza che avrà il compito di anticipare gli eventi estremi in tutta Europa, inaugurato in pompa magna alla metà di settembre nel capoluogo emiliano, non è però ancora attivo e Matteo Lepore, 41 anni, candidato sindaco in quota Pd, si affida ai sondaggi che lo danno in ampio vantaggio già al primo turno. Seduto a un caffè in piazza Maggiore, si gode un sole ancora semiestivo e delinea il futuro di una città che nei prossimi dieci anni diventerà “un hub mondiale della conoscenza”.
Il cantiere del Tecnopolo, 200mila metri quadrati di padiglioni in costruzione nell’ex Nuova manifattura tabacchi in via Stalingrado, disegnata alla fine degli anni cinquanta dall’architetto Pier Luigi Nervi, è il cuore del nuovo corso bolognese annunciato dall’aspirante primo cittadino. Ospiterà il Centro meteo europeo con il supercomputer BullSequana e un altro cervello elettronico ancora più potente, Leonardo, destinato a raccogliere ed elaborare dati per enti di ricerca e università. Nei padiglioni in costruzione saranno montati quattro giganti dell’information technology da 42mila chilogrammi ciascuno, raffreddati da venti sistemi ad acqua e due ad aria. Ognuno di questi sarà collegato a un sistema di archiviazione che farà di Bologna, a detta di Lepore, “la capitale italiana dei big data e delle tecnologie”. “Si apre una stagione nuova, a noi progressisti spetta il compito di governare questo cambiamento senza lasciare indietro nessuno”, afferma mentre alle sue spalle parte la maratona oratoria del Festival francescano, che quest’anno ha come tema “un’economia gentile”.
Per il momento, nel parco che separa gli edifici popolari e le strade ordinate della vecchia Bolognina dal nuovo quartiere fatto di palazzi a più piani, ampi spazi verdi e piste ciclabili, a restare indietro sono i giovani africani accampati in tende di fortuna. Fino a due anni fa frequentavano il centro sociale ricavato negli spazi dell’ex mercato ortofrutticolo. Poi l’Xm24 è stato sgomberato e spianato con le ruspe, e loro sono rimasti senza un tetto. Così hanno piantato le tende ai margini delle macerie. “Teniamo il prato pulito, non disturbiamo e in cambio ci lasciano tranquilli”, afferma uno di loro.
“Questo luogo è una sorta di check point tra il vecchio e il nuovo, e allo stesso tempo un emblema di ciò che sta diventando la Bolognina”, mi dice Michele Lapini, il fotoreporter bolognese che mi fa da guida in quello che da quindici anni viene considerato “il quartiere povero che si rifà il look”. La trasformazione annunciata è avvenuta però solo a metà e per questo c’è chi, pure nell’amministrazione uscente, la considera in parte “fallita”.
Nell’ex quartiere operaio bolognese finito nei libri di storia da quando, il 12 novembre 1989, l’allora segretario Achille Occhetto annunciò lo scioglimento del Partito comunista italiano, gli abitanti delle case popolari convivono con la popolazione di origine cinese di via Ferrarese e con i nuovi arrivati dal Nordafrica o dal Pakistan. I pochi spazi non ancora recuperati, come le ex officine di Casaralta, sono un rifugio notturno per i senzatetto. Qua e là, dalle finestre delle abitazioni penzolano striscioni artigianali contro i nuovi palazzi in costruzione. Un comitato “contro i mostri urbani” è riuscito a ottenere che questi non superino i sette piani, contro i dieci previsti.
La parola chiave è “rigenerazione urbana”. Tradotto in soldoni, vuol dire che nei prossimi anni su Bologna pioveranno miliardi
Il sociologo Maurizio Bergamaschi, che al quartiere ha dedicato uno studio etnografico, ritiene che l’amministrazione comunale, privilegiando “settori della popolazione che hanno stili di vita e di consumo non dico elitari, ma più alti”, ha ampliato “la forbice sociale” con i residenti che vivono in case popolari o in cooperativa ad affitti contenuti e soffrono gli aumenti dei prezzi. “Hanno trascurato le politiche popolari e sugli alloggi”, denuncia lo scrittore Valerio Evangelisti, capolista di Potere al popolo (Pap), una delle due liste di sinistra che hanno deciso di non sostenere Lepore ma non sono riuscite a trovare un accordo su un candidato unico: da una parte Marta Collot, veneta, 28 anni, già portavoce di Pap, e dall’altra Dora Palumbo, ex Movimento 5 stelle (M5s) ora con Sinistra unita.
La parola chiave è “rigenerazione urbana”. Tradotto in soldoni, vuol dire che nei prossimi anni su Bologna pioveranno miliardi, almeno 2,5 dal Pnnr e altri sei da finanziamenti europei e nazionali. I progetti presentati parlano di “riqualificazione del quartiere fieristico”, recupero di aree dismesse, sei nuovi parchi urbani, completamento della stazione ferroviaria, dove già una navetta elettrica sopraelevata collega in sette minuti e mezzo all’aeroporto. Come e quanto questa trasformazione cambierà i connotati a una città che accoglie quasi 80mila studenti universitari e impiega, in maniera molto spesso precaria, 26mila persone nell’industria culturale e creativa, è un tema di cui si è discusso poco in una campagna elettorale che ha fatto registrare pochi sussulti se non per i risvolti sul piano nazionale dell’alleanza tra Pd, M5s e la sinistra rossoverde della Coalizione civica, considerata un “laboratorio” in vista di un possibile cartello alle elezioni politiche del 2023. Il sismografo dell’entusiasmo politico ha fatto registrare una piccola impennata solo quando Giuseppe Conte si è affacciato all’Hostaria Partigiana in una Festa dell’Unità da record – 400mila presenze tra il 26 agosto e il 19 settembre – ed è stato accolto al canto di Bella ciao.
Trovare una sistemazione per chi è studente fuorisede è diventato più complicato e costoso che in passato. Molti proprietari preferiscono affittare ai turisti attraverso Airbnb che agli studenti. I prezzi delle abitazioni sono lievitati ed è fiorito il business degli studenti, che offrono camere singole fino a 800 euro al mese. Il nuovo target di studenti e ricercatori che si presume arriveranno da tutta Europa al Tecnopolo attrae perfino capitali internazionali. Ne è un esempio lo Student Hotel, un ostello di lusso costruito da un imprenditore scozzese al posto di un vecchio palazzo della Telecom.
I giovani clienti di “una delle città universitarie più stimolanti d’Europa”, come recita una brochure, hanno a disposizione piscina, palestra, co-working e ristorante. Tredici notti in una camera singola di 17 metri quadrati vengono a costare, in promozione, 1.019 euro, circa 80 euro a notte. Tutto ciò “sta cambiando il profilo di chi arriva a studiare a Bologna”, spiega il sociologo Bergamaschi. “Prima ci si trasferiva perché era una città alternativa, molto creativa, dove si poteva vivere con poco, ora viene chi se lo può permettere”, dice ancora. Pure Lepore ammette il “conflitto” tra studenti fuorisede e il “modello b&b”.
La pandemia ha solo rallentato questo processo. Nonostante l’assenza dei turisti extraeuropei, in particolare britannici e statunitensi, le presenze in città stanno tornando ai livelli prepandemia. Da quando all’aeroporto atterra Ryanair, la permanenza media in città è passata da mezza giornata a tre giorni e mezzo.
Il cibo è considerato un “asset” sul quale la città vuole continuare a puntare
Per rendersene conto, basta fare un giro nelle vie del centro, dove i tavolini di bar e ristoranti hanno ricominciato a riempirsi. Nel Mercato di mezzo, nato nel 2014 da una collaborazione tra l’allora Coop Adriatica e il patron di Eataly, Oscar Farinetti, alcuni esercenti hanno deciso di chiudere bottega in aperta polemica contro la trasformazione in un “taglierificio a cielo aperto” a uso e consumo dei turisti più che dei cittadini.
Detto in gergo manageriale, il cibo è considerato un “asset” sul quale la città vuole continuare a puntare. Tutto ciò nonostante Fico, il megaparco tematico agroalimentare aperto dallo stesso Farinetti e da Coop Alleanza 3.0 alla periferia cittadina nel 2017, si sia tenuto ben lontano dai sei milioni di visitatori all’anno previsti e abbia chiuso l’ultimo bilancio con quattro milioni di passivo, costringendo i promotori a rivedere e ridimensionare il progetto. Il punto è che, più che gli stranieri, la Fabbrica italiana contadina – è questo l’acronimo di Fico – non è riuscita a conquistare i locali, che lo considerano alla stregua di un ipercentro commerciale. “I visitatori italiani che arrivano da fuori Bologna e gli stranieri sono aumentati ma non abbastanza per sopperire alla perdita di presenze dei bolognesi”, ha ammesso la presidente Tiziana Primori.
Chi pensa di poter cambiare le priorità politiche dell’amministrazione dall’interno è Emily Clancy, giovane capolista della Coalizione civica, che cinque anni fa stupì tutti raggiungendo il 7 per cento dei consensi e stavolta ha scelto di accettare la sfida del governo cittadino. All’opposizione, vanta il salvataggio da una speculazione edilizia del bosco dei Prati di Caprara, vicino al Tecnopolo in costruzione. Se arriverà in giunta comunale, dovrà accettare il compromesso raggiunto su un problema dibattuto da anni: l’ampliamento dell’autostrada che attraversa la città, il cosiddetto Passante di Bologna. Invitata da Legambiente a discuterne con gli altri candidati sindaco, Clancy ha sostenuto che “il progetto esiste già” e “c’è poco da fare”, ma “possiamo ridurne l’impatto con delle soluzioni integrate”, vale a dire più parchi verdi, bici e trasporti pubblici. “Da città dei taglieri e degli affitti più cari d’Italia, Bologna deve diventare una città a zero emissioni, con servizi raggiungibili in quindici minuti, della casa per tutti, con un trasporto pubblico via via gratuito”, dice.
Yaya e il rap antiSalvini
Il 22 gennaio 2020 Matteo Salvini ha citofonato a casa di Yassin, 17 anni e tunisino, che vive nel cosiddetto emiciclo, l’area più difficile del quartiere Pilastro. Gli ha chiesto, in uno show a uso e consumo di telecamere che ha presto fatto il giro d’Italia, se spacciava, “e da allora sono stato soprannominato dagli amici Yaya lo spacciatore”, racconta Yassin, che ha trasformato quello che gli è accaduto in un rap che strizza l’occhio all’estetica del ghetto, con tanto di pistole finte e sguardi da duro. Canta però: “Quella notte non ho chiuso occhio”. Il giorno dopo, centinaia di abitanti del quartiere si sono radunati nella piazza che ospita il cippo dedicato ai tre carabinieri uccisi nel 1991 dalla banda della Uno bianca. Mi mostrano, ancora oggi orgogliosi, le foto di una folla composta e numerosa, indignata per il modo in cui era stato strumentalizzato un intero quartiere.
C’erano pure i coniugi Patrizia e Romano Zuccheri, che mi accolgono in casa loro, un appartamento in cooperativa al settimo piano del cosiddetto Virgolone, un palazzo di edilizia popolare lungo un chilometro. Ci tengono a mostrare la realtà della loro vita quotidiana. L’“autogestione” della loro scala, la cura collettiva del verde davanti all’edificio, le riunioni e perfino le feste nella sala condominiale. “In passato organizzavamo anche gite insieme, una volta abbiamo messo davanti al bus uno striscione con la scritta ‘condominio in vacanza’, ci ha fermato la polizia che credeva fosse uno scherzo”, ride la signora Patrizia. Per questo, “dopo 43 anni di vita in questo quartiere, abbiamo ritenuto un insulto quello di Salvini e non esiteremmo a tornare in piazza se si facesse rivedere da queste parti”, spiegano all’unisono.
Sono qui proprio perché il leader della Lega ha fatto sapere che sarebbe tornato sul luogo della citofonata. L’annuncio si è però rivelato una boutade che ha indispettito più di un abitante del quartiere. Salvini si è fermato in una piazza ai margini del Pilastro. Pure il candidato del centrodestra Fabio Battistini ha evitato di incrociarlo, come ha fatto pure con Giorgia Meloni, segno di una tregua armata tutta interna alla destra tra governisti e populisti, pronta a scoppiare all’indomani delle comunali. È anche per questo che la campagna elettorale della destra è stata condotta a dir poco in sordina. “Rischiamo una giunta senza opposizione”, dice Bruna Gambarelli, che incontro nel Dom, la “cupola del Pilastro”, uno spazio teatrale che gestisce da quando era assessora alla cultura, sostituita proprio da Matteo Lepore. Non è però questo che la preoccupa, quanto il fatto che “sta venendo meno qualsiasi forma di spirito critico”.
La stagione nuova dei licenziamenti
Con le parole di Gambarelli che mi rimbombano nelle orecchie, me ne vado a un presidio serale davanti alla sede centrale delle Poste. È accaduto che a un giovane dipendente della Nexive, un’azienda di logistica, sia cascato l’occhio su un annuncio immobiliare pubblicato da un giornale. Si leggeva: “Affitto capannone di 4.650 metri quadrati di recente costruzione, ideale per logistica, corrieri, spedizionieri, 20mila euro al mese”. Il ragazzo ha creduto di riconoscere quel luogo e ha avvisato i sindacalisti interni, che a loro volta hanno interpellato l’azienda. Questa ha dapprima sostenuto di non saperne nulla, poi in capo a qualche giorno comunicato ai sindacati che avrebbe chiuso il 30 settembre, ha messo in ferie forzate i cinquanta lavoratori, due terzi dei quali assunti da una cooperativa attraverso un’altra azienda intermediaria, e ha svuotato il magazzino, spostando la merce in altri depositi, chiudendo “ancora prima di fine settembre, come ci aveva comunicato”, denuncia la Cgil. Siccome la loro azienda è controllata da Poste Italiane, sono qui a farsi sentire, convocati dal sindacato SiCobas.
In strada ci sono anche lavoratori di altre tre aziende che hanno chiuso da un giorno all’altro, nell’estate calda dello sblocco dei licenziamenti. Uno di questi, Pietro De Marco, mi mostra il messaggio ricevuto via whatsapp alle ore 22 del 31 luglio 2021. “Da lunedì 2 agosto lei sarà dispensato dall’attività lavorativa. Cordiali saluti”, recita in maniera laconica. De Marco era un magazziniere della Logista, una multinazionale che lavora per la Philip Morris e ha il sostanziale monopolio nella distribuzione del tabacco al centronord. Ora è in cassa integrazione fino al 31 ottobre 2021, “al 100 per cento dello stipendio”. Poi chissà. Il ministro del lavoro Andrea Orlando ha definito il licenziamento via whatsapp “inaccettabile”, in parlamento sono arrivate due interrogazioni e il caso è piombato come un macigno sulla campagna elettorale. Lepore ha chiesto al governo di modificare il Jobs act, che prevede la possibilità di licenziare con un semplice messaggio. Nella “stagione nuova” che sta per aprirsi a Bologna, spetterà a chi salirà sullo scranno più alto di palazzo D’Accursio trovargli una soluzione, per non lasciare nessuno indietro, come da slogan.
Sono otto i candidati sindaco alle elezioni comunali di Bologna: sei uomini e due donne.
- Matteo Lepore è il candidato del centrosinistra ed è l’attuale assessore alla cultura nominato dal sindaco uscente Virginio Merola.
- Fabio Battistini è il candidato del centrodestra. È un imprenditore e ha il sostegno di Fratelli d’Italia, Bologna ci piace, Popolo della famiglia, Lega Salvini premier e Forza Italia.
- Stefano Sermenghi, avvocato, si è candidato con la lista Bologna forum civico ed è appoggiato dalla lista Per Bologna Italexit.
- Dora Palumbo è attualmente consigliera comunale ed è sostenuta da Sinistra unita per Bologna.
- Andrea Tosatto, psicologo e scrittore, è sostenuto da Movimento 3 V. È stato attivista del Movimento 5 stelle.
- Marta Collot corre con la lista di Potere al popolo.
- Federico Bacchiocchi, veterinario, è il candidato sostenuto dalla lista del Partito comunista dei lavoratori.
- Luca Labanti, avvocato ed ex giudice sportivo, è il candidato della lista Movimento 24 agosto per l’equità territoriale.