Mai sottovalutare il potere restauratore della poesia, soprattutto quando si fonde con la street art e diventa materia visibile in un rione screditato e degradato come le Fornelle di Salerno.
Le mura logorate dalla salsedine che dal lungomare arriva sulle basse palazzine di uno dei rioni più antichi della città, da qualche mese hanno cambiato colore, ma anche sapore. Gli storici abitanti del luogo, pescatori e lontani discendenti degli amalfitani qui portati dal principe Sicardo tra l’838 e l’839, vivono circondati da poesia.
Su ogni facciata, nei vicoli, in cima alle scalinate e nei cortili, tra lenzuola, tovaglie e camicie stese ai balconi, splendono versi di autori di tutto il mondo, accompagnati da murales di artisti italiani e stranieri (tra i quali Ivan Tresoldi e Carlos Atoche), che hanno dato al rione un nuovo volto, ma anche una nuova identità mentre nel resto della città le imponenti opere pubbliche firmate da archistar, dal Crescent di Ricardo Bofill alla Stazione marittima di Zaha Hadid, alla cittadella giudiziaria di David Chipperfield, restano incomplete, parzialmente funzionanti o inattive.
Ironia della sorte
Le Fornelle è un rione a sé stante. Mai illuminato dalle famose “luci d’artista” pur trovandosi a due passi dal teatro Verdi, la villa comunale e il palazzo comunale, mai frequentato dai salernitani e marchiato dall’etichetta di “zona pericolosa, sporca e malfamata”. È più conosciuto per la cronaca nera che per aver dato i natali ad Alfonso Gatto, il poeta dell’essenziale nato nel 1909, amico di Montale e apprezzato da Ungaretti, scomparso quarant’anni fa in un incidente stradale nei pressi di Orbetello.
L’ironia della sorte, però, ha fatto sì che grazie al progetto Muri d’autore, coordinato dal poeta Valeriano Forte e dall’artista Pino Roscigno in arte Greenpino, direttore progettuale e direttore artistico dell’iniziativa realizzata con la fondazione Alfonso Gatto, diretta dal nipote del poeta Filippo Trotta, il rione oggi abbia acquistato un tale appeal da essere diventato meta di turismo.
Negli oltre vent’anni di travagliata storia urbanistica avviata nel 1994 dal sindaco dimissionario Vincenzo Giordano, con l’aiuto del catalano Oriol Bohigas (che ideò Barceloneta), e poi gestita dall’ex sindaco Vincenzo De Luca, oggi governatore della regione Campania, sembra che la riqualificazione urbana tanto acclamata che doveva rendere “Salerno come Barcellona” e che invece oggi la vede ingabbiata in un cambiamento lento, pieno di intoppi e poco apprezzato dagli ambientalisti, goda di un inaspettato ma efficace beneficio da un’iniziativa nata dal basso e sostenuta da artisti e poeti.
Alle Fornelle oggi la poesia è per tutti, anche per chi non l’ha mai letta
“L’idea è nata l’anno scorso al termine della Prima conferenza mondiale del movimento dei Centomila poeti per il cambiamento, nato in California nel 2011, che si è svolta a Salerno”, racconta Valeriano Forte, intenzionato sin dall’inizio a dar vita a “un progetto di poesia e non di street art né di riqualificazione urbana”.
Proprio il respiro poetico, infatti, distingue quest’azione artistica dalle altre sviluppate in molte zone degradate e periferiche d’Italia e gli dà quel sapore rivoluzionario e innovativo che la street art tout court ha perso in questa fase di “gallerizzazione”.
Alle Fornelle oggi la poesia è per tutti, anche per chi non l’ha mai letta. “La poesia non è solo quella scritta nei libri, prende forma in vari modi. Basta con l’egocentrismo e l’autoreferenzialità dei poeti!”, esclama Valeriano Forte mentre mi mostra le opere, comprese le scritte dei nomi delle strade e i numeri civici disegnati ad arte sui muri per colmare una mancanza che fino a oggi ha reso difficile la vita dei postini nella zona.
“Ci stiamo organizzando per avere delle guide in più lingue”, mi racconta invece Greenpino che del rione ormai conosce le crepe di ogni muro. “Il nostro è un intervento culturale e ha un target ampio, offre poesia dal bambino all’anziano. Qui la gente può leggere senza comprare i libri”, aggiunge l’artista mentre mi indica i vari ingressi del rione che fino a qualche mese fa era grigio, spoglio e povero.
Scoprire la nuova faccia delle Fornelle è una sorpresa anche per me che a Salerno ci sono nata nell’anno in cui Alfonso Gatto moriva. È una scoperta che crea stupore e soddisfa il mio desiderio inconscio di tornare nella mia città e trovarmi in una Salerno cambiata, più aperta, amalgamata, vera, generosa, comunicativa, profonda, creativa.
Il primo impatto è molto forte perché appena metto piede nel rione, dopo aver percorso vicolo degli Amalfitani da largo Campo, porto lo sguardo in alto e incrocio a destra, in cima ai gradini Masaniello, gli occhi di ghiaccio di Alfonso Gatto.
È il suo volto raffigurato con la solita sigaretta tra le labbra e circondato da versi sulla vita a darmi il benvenuto nel rione della meraviglia in cui ogni muro comincia a parlarmi. Il primo alla mia destra, bianco e lungo, racconta della costiera amalfitana e di “chi vive con il suo niente, una giornata d’aria”. Sono parole che Gatto, figlio di marinai di origini calabresi, scrisse sulla gente di Amalfi che popolò quest’area, abbellite da un disegno realizzato dal maestro Mario Carotenuto, 94 anni, amico del poeta e autore del suo dipinto realizzato nel 1982 per il presepe del duomo di Salerno.
Gatto è noto come il ‘poeta con la valigia’ perché lasciò presto Salerno per cercare un futuro altrove
Siamo a pochi passi dalla casa dove nacque Gatto, che si trova in vicolo delle Calesse, nei pressi del quale oggi primeggia un muro che riporta in prosa il turbamento che lo ha accompagnato per tutta la vita: quel “voler partire e voler restare insieme”.
“Quel dire addio a noi stessi come se rimanessimo ai balconi per salutarci”, diceva il poeta, convinto che “dobbiamo credere che il mondo di là è quello che dobbiamo raggiungere, anche se restiamo di qua”.
Gatto è noto come il “poeta con la valigia” perché lasciò presto Salerno per cercare un futuro altrove. Visse a Napoli, a Roma, a Milano, a Firenze, fece lunghi soggiorni a Venezia, viaggiò in Sicilia. Nei suoi versi ha raccontato la quotidianità affannata di tante città e la morte, ma anche la “serietà” meridionale e il dolore della migrazione da sud a nord, quel difficile saluto al mare e a Salerno, la sua “rima d’inverno / rima d’eterno”.
Alle Fornelle scrisse la sua prima poesia, a 19 anni: “ero malinconicissimo e mi misi alla finestra…”. Era un invito al viaggio, seguito dalla raccolta di prosa e poesia Isola (1932) che ricevette il sostegno di Giuseppe Ungaretti e di Eugenio Montale, il quale, dopo la tragica scomparsa di Gatto, scrisse le righe impresse sul sepolcro nel cimitero cittadino: “Ad Alfonso Gatto / per cui vita e poesia / furono un’unica testimonianza / d’amore”.
Gatto fu anche cronista, prosatore, critico artistico, letterario e sportivo, pittore, disegnatore e addirittura attore in vari film tra cui due di Pasolini: Il Vangelo secondo Matteo nel 1964 (era l’apostolo Andrea) e Teorema nel 1968 (era un dottore). Era una persona allegra, incandescente. Credeva nell’amicizia, ebbe tanti amori e tre figli. Gli amici di Salerno lo aspettavano alla galleria Il Catalogo e ricordano i suoi ritorni in città come “momenti in cui tutto s’illuminava”.
Il suo sguardo sul mondo era ampio e anche i paesaggi della sua piccola Salerno si ampliarono in lontananza. Oltre le numerose raccolte di poesia ermetica, di cui fu uno dei massimi esponenti, dedicò due raccolte poetiche all’infanzia, diede voce ai temi della resistenza e dell’impegno politico e spesso accompagnò le poesie con acquerelli in cui dipingeva “paesaggi immaginari”.
Amava i colori. Sarebbe felice forse oggi nel sapere che il suo rione “di nobiltà popolare” si è variopinto e i suoi versi di onde e sale sono impressi sulle pareti di questa parte di città vecchia che somiglia a Napoli.
Il richiamo del mare
Il cuore del rione è piazza Matteo d’Aiello, dove si trova una fontana settecentesca, opera di ignoto. Qui la gente porta le sedie in strada, davanti all’uscio di casa, e chiacchiera, accende il braciere, mangia, litiga, spettegola, sogna con gli altri e guarda chi passa.
Proprio in questo punto, infatti, c’è un gran via vai perché da qualche anno è attivo un ascensore che conduce nella città alta, direttamente ai famosi giardini della Minerva, antesignani degli orti botanici dove studiavano gli allievi della Scuola medica salernitana, la più importante istituzione europea nel medioevo.
“C’amma fa! Cca’ drett, alle Fornelle non c’è un bar, non ci sono giochi per i nostri bambini, non c’è lavoro”, lamentano le donne del rione, le “fornellesse”, orgogliose però di mostrare la facciata di un palazzo su cui sono raffigurate e di raccontare che sono state scelte come “attrici” dal regista israeliano Jonathan Gottesmann che, con la sceneggiatrice e produttrice Mela Boev, a luglio è stato qui per girare alcune scene del film Diva senza tempo.
Il film racconta del viaggio che due musicisti compiono per incontrare e convincere la cantante Diva Zanicchi a cantare nella loro band. Partono dal Medio Oriente, passando per Grecia, Albania e Italia dove approdano in una città popolata solo da donne. È qui che entrano in scena le “fornellesse” e il rione. “Le vedremo presto sullo schermo”, assicura il regista.
Sulle pareti degli antichi edifici di quest’angolo di città dunque si mischiano storie vecchie e nuove ed è forte il richiamo al mare. Si può incontrare un gigantesco Nettuno che sembra dedicare una poesia d’amore di Gatto alla sirena che sta sul muro di fronte affacciata a una finestra con un gattino, oppure un immenso volto di Apollo, pacioccone e con folta capigliatura, che ricorda lo stile di Botero ma si rifà al reale ritrovamento di una testa di Apollo nel golfo salernitano il 2 dicembre del 1930, che suggestionò e ispirò Ungaretti e che oggi è possibile trovare al Museo archeologico della città.
Ma soprattutto si possono leggere versi dei poeti più svariati, da Nazim Hikmet “Il più bello dei mari è quello che non navigammo”, a Humberto Ak’abal “I sentieri del mio paese, ti si impigliano tra i piedi”, da Paul Eluard “Prepareremo giorni e stagioni a misura dei nostri sogni”, a Allen Ginsberg “Il messaggio è allargate l’area della coscienza”, da Visar Zhiti “e daccapo è giunta l’epoca di pensare, o cuore” fino a Antonio De Curtis, il nostro Totò, “Io songo nato addò sta ’e casa ’o sole”.
E naturalmente Alfonso Gatto sicuro che “c’è sempre un giorno che il Creato crea / se stesso e gli occhi e il modo di guardare”.
Questa e altre storie saranno raccontate nell’audiodocumentario Salerno e il poeta con la valigia di Francesca Bellino che andrà in onda su RadioRai3 nel programma TreSoldi.
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