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La lotta di chi sale sugli alberi per salvare il bosco Lanerossi

Giugno 2024. Giovanni Mezzalira, agricoltore e membro della Comunità vicentina di agroecologia, all’ingresso del bosco Lanerossi, occupato dalla fine di aprile di quest’anno. (Camilla Martini per Internazionale)

“Cosimo salì fino alla forcella di un grosso ramo dove poteva stare comodo, e si sedette lì, a gambe penzoloni, a braccia incrociate con le mani sotto le ascelle, la testa insaccata nelle spalle, il tricorno calcato sulla fronte. ‘Ti farò vedere io, appena scendi’, gli gridò nostro padre. ‘E io non scenderò più!’. E mantenne la parola”. In un atto estremo di protesta, contro le soffocanti regole della nobiltà e della sua famiglia, il protagoniste del Barone rampante di Italo Calvino decide di andare a vivere sugli alberi, passandoci tutta la vita. E per difendere i boschi, per salvare un ambiente naturale prezioso alle porte della città, alcuni attivisti sono saliti sugli alberi e, proprio come Cosimo, sono determinati a rimanerci.

Succede a Vicenza, dove alla fine di aprile si è deciso di abbattere due aree boschive nel quartiere dei Ferrovieri, nella zona sudovest della città. All’arrivo degli operai del consorzio Iricav, venuti a installare le reti per delimitare il cantiere per la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità tra Verona e Padova, alcuni attivisti hanno occupato l’area, le hanno tagliate e riportate nella sede dell’azienda.

Da quel momento è cominciata l’occupazione del bosco Lanerossi, uno spazio verde cresciuto nel parco della Pettinatura Lanerossi, un’area di più di undicimila metri quadri, e del bosco di Ca’ Alte, nello stesso quartiere, a ridosso dell’attuale linea ferroviaria e del fiume Retrone. Entrambe le aree dovrebbero essere abbattute per ospitare dei cantieri temporanei in cui conservare i materiali e produrre cemento per la nuova linea ferroviaria.

L’intero quartiere verrebbe completamente stravolto dal progetto. Per portare a termine i lavori nei nove anni stimati, si prevede il transito di cinquecento camion al giorno nel bel mezzo del centro abitato. Il costo finale dei lavori per il lotto 2 (la tratta che va da Altavilla Vicentina a Vicenza, attraversando la città), sarebbe di 2,2 miliardi di euro: una cifra enorme per poco più di sei chilometri di binari. Circa 35 edifici sarebbero demoliti, espropriando le abitazioni di più duecento famiglie. In tutta Vicenza, gli attivisti stimano cinquantamila metri quadri di spazi verdi abbattuti per fare spazio alla ventina di cantieri e calcolano più di cento chilometri di opere viarie, funzionali anche allo sviluppo della zona fieristica, area in cui molti suggeriscono di spostare i cantieri.

Il piano per l’alta velocità ha coinvolto le ultime tre amministrazioni comunali a Vicenza, di centrosinistra e di centrodestra. E quella l’attuale, guidata da Giacomo Possamai, 34 anni, del Pd, eletto nel maggio 2023, che alla linea non si è mai opposto. Il progetto è cambiato più volte nel tempo: nella prima versione il tracciato ferroviario sarebbe dovuto passare a sud dei colli Berici, più lontano dalla città; la seconda prevedeva un percorso sotterraneo sotto il centro abitato. Ma è stata approvata la terza, quella con maggiori conseguenze per la città e i suoi abitanti, sostenuta anche da Confindustria. L’accelerazione degli ultimi tempi è stata possibile anche grazie ai fondi europei del Pnrr.

Per opporsi all’abbattimento delle aree verdi, in poco tempo si è formata l’Assemblea del bosco, di cui fanno parte il comitato del quartiere dei Ferrovieri, il Coordinamento salute ambiente e territorio (Cast), l’associazione Civiltà del verde, i centri sociali Caracol e Bocciodromo, il gruppo vicentino di Fridays for future, con l’appoggio di Italia nostra, Legambiente, Lipu, l’associazione dei medici per l’ambiente Isde. Cittadini comuni, attivisti dei centri sociali e membri della parrocchia organizzano insieme ogni settimana incontri, creano spazi di gioco per i bambini, ospitano eventi culturali, come quello con la comunità Laudato Si’ o la prova aperta del nuovo spettacolo della compagnia teatrale Anagoor.

Giugno 2024. Marco Zilio, membro dell’Assemblea del Bosco, si arrampica su un albero nell’area di Ca’ Alte per mostrare la tecnica ad altre attiviste e attivisti.

A fine maggio l’Assemblea del bosco ha organizzato una fiaccolata che ha percorso il chilometro che collega l’area Lanerossi al bosco di Ca’ Alte: c’erano più di 600 persone, sotto una forte pioggia. Il 2 luglio c’è stata una nuova manifestazione in centro. Nel frattempo, sono state raccolte quasi 25mila firme ed è stata aperta una raccolta fondi per sostenere le spese legali e finanziare le molte attività in programma.

Italia nostra ha presentato un ricorso al tar del Lazio che impugna l’approvazione del progetto definitivo da parte del comune di Vicenza, la cui sentenza è attesa per metà luglio. “Contestiamo il fatto che manchino molti dati”, spiegano Martina Casetta e Andrea Spaliviero della sezione vicentina dell’associazione, “soprattutto di carattere ambientale, sulle acque e sulle polveri sottili”. L’Unesco, preoccupata per la tutela del sito, ha minacciato di inserirlo nella black list dei luoghi minacciati.

“Il progetto è estremamente pericoloso”, riflette Renato Giaretta, medico e iscritto all’associazione dei medici per l’ambiente. L’Oms stima più di trecentomila morti in tutta Europa per inquinamento atmosferico, e novantamila ogni anno in Italia. Il grande traffico di mezzi aumenterà la presenza di polveri sottili in una città che a giugno ha già sforato i limiti di quest’anno, “aumentando fortemente il rischio di cancro ai polmoni e al seno, e di malattie cardiovascolari come ictus o infarti”, spiega Giaretta.

Poi c’è la questione dell’acqua, in una provincia in cui l’inquinamento da sostanze per- e polifluoroalchiliche (Pfas) è a livelli allarmanti. Il consumo previsto per i cantieri è di 360mila litri al giorno, “e dove sarà presa quest’acqua? Dai fiumi e dalle falde, che sono altamente inquinate da pfas”, continua Giaretta.

Angela Rotella, ingegnere ambientale calabrese, vive a Vicenza dal 2017. Nota che “in Veneto c’è una gestione politica e amministrativa legata al ciclo del cemento e alla realizzazione di infrastrutture come queste”. I problemi ambientali influiscono in modo profondo sulle scelte private. “Mia figlia ha avuto difficoltà respiratorie, mi sto ponendo la questione di continuare a vivere qui. Alla fine però se questa città prende coscienza di quello che sta arrivando, e aumenta il sostegno, l’opera si può fermare. Io ci credo”.

La presenza dell’ex Pettinatura Lanerossi, sede vicentina di quella che agli inizi del novecento è stata una delle più importanti aziende italiane, ha caratterizzato fortemente il quartiere dei Ferrovieri, già abitato dalle famiglie degli operai che lavoravano nelle Officine grandi riparazioni ferroviarie.

Elena Guerra, attivista del centro sociale Bocciodromo di Vicenza, all’interno della ex fabbrica Lanerossi dove alberi e piante si sono riprese spontaneamente il proprio spazio.

L’enorme fabbrica è abbandonata da quarant’anni. Il complesso è stato comprato dal gruppo Marzotto, fallito nel 2004, e da quel momento è stato affidato a un curatore fallimentare. Recentemente, l’area è stata acquistata all’asta da un gruppo privato per poco più di cinquecentomila euro, che dovrà negoziare qualsiasi progetto di urbanizzazione con il comune di Vicenza.

Negli anni venti nella grande area intorno alla fabbrica la famiglia Rossi, importante dinastia industriale, cominciò a piantare un giardino ornamentale. Ne facevano parte anche piante esotiche come un Liquidambar styraciflua importato dagli Stati Uniti, che ora è un albero secolare alto più di venti metri e con una chioma che raggiunge i trenta. La tutela di questo esemplare e il suo riconoscimento come albero monumentale è uno dei punti più importanti della mobilitazione.

Il giardino ornamentale, nei decenni di abbandono del complesso industriale, è diventato un bosco, che si estende per 16mila metri quadrati, con più di 75 specie censite e una ricca biodiversità. Animali selvatici come tassi e caprioli si avvicinano alla città scendendo dai colli Berici, trovando rifugio nel bosco. Il sistema di radici degli alberi si è sviluppato prevalentemente in orizzontale, dato che sotto il sottile strato di suolo c’è il cemento. Anche all’interno della fabbrica, in cui nel frattempo sono stati rimossi i tetti in eternit, alberi e piante sono cresciuti in modo libero, prendendosi lo spazio e rigenerando un terreno inquinato.

“Tutto ciò trasmette un senso di speranza”, osserva Giovanni Mezzalira, agricoltore e parte della comunità vicentina di agroecologia. “Queste sono aree che sono state dimenticate per decenni, e vediamo che dove la natura è lasciata libera di fare, rigenera, cura e crea condizioni di nuova abitabilità, anche per noi”. Nel prato aperto all’ingresso del bosco di Ca’ Alte, Mezzalira sta progettando un orto fuori suolo, così da evitare la contaminazione da pfas, mentre l’acqua necessaria è conservata dentro una cisterna su una torretta. “Questo e altri sono orti collettivi, una possibilità di socialità per il quartiere ma anche un presidio, un elemento di resistenza”.

Molti in città sono pronti a difendere questi boschi. Sugli alberi più robusti sono state costruite delle strutture in legno, usando solo corde per fissarle, così da non danneggiare i tronchi. Possono ospitare più persone, e su alcune è previsto che siano portate delle arnie, per un esperimento di apicoltura. Sono state organizzate delle sessioni per imparare a salire sugli alberi con corde e imbracature. “È il modo più naturale che ci viene in mente per difendere un bosco”, spiegano Elena Guerra e Marco Zilio, attivisti del centro sociale Bocciodromo, la cui sede si trova nella vecchia bocciofila costruita dagli operai della Lanerossi.

È stata creata una sorta di funivia, un passaggio aereo per arrivare dal bocciodromo al bosco senza mai toccare il suolo, quella terra inquinata che queste piante nate spontaneamente stanno depurando in profondità.

“La disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più rigorosa e ardua di quella a cui ci si ribella”, scriveva Calvino in una nota al suo Barone rampante.

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