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Sui campi da tennis con il complice di uno scommettitore

Il Foro Italico durante gli Internazionali d’Italia, Roma, il 16 maggio 2019. (Clive Brunskill, Getty Images)

Gira il mondo per seguire le gare di tennis. È stato a tutti i tornei di Parigi negli ultimi cinque anni. È stato tre volte a Wimbledon, a Toronto, Cincinnati, Dallas, Montecarlo, Barcellona e a Zara, in Croazia, per la coppa Davis. Ma Riccardo, il nome è di fantasia, non è un tennista e neanche un allenatore o un giornalista sportivo. È un courtsider: assiste alle partite di tennis per fornire informazioni a scommettitori o agenzie di scommesse. A volte le trasferte sono proficue, ma non sempre, e quando capita di essere scoperti il gioco finisce, almeno fino al torneo successivo. “Nel 2016, da una domenica al venerdì, per oltre dieci ore sono stato sugli spalti di Wimbledon e ho incassato 45mila dollari. La scorsa settimana ero a Madrid per il Masters 1000, ma sono tornato prima del previsto perché sugli spalti a cliccare eravamo in tanti e il guadagno sarebbe stato scarso”.

L’incrocio tra il mondo delle scommesse sportive live e quello della tecnologia ha creato una zona grigia da cui è nato il courtsiding. Funziona così: sugli spalti dei campi da tennis di tutto il mondo ci sono dei courtsider che, grazie a degli strumenti tecnologici, trasmettono a dei complici quello che succede sul campo – un punto segnato, un game vinto, un set aggiudicato – prima ancora che un arbitro aggiorni il punteggio e prima che i risultati siano visualizzati sui tabelloni a cui le compagnie di scommesse fanno riferimento, così da agire in vantaggio rispetto ad altri scommettitori. “Basta un clic e l’informazione su chi abbia realizzato il punto arriva al complice a casa che può piazzare una scommessa live prima della variazione delle quote, così freghiamo il sistema. Puntiamo fino a duemila euro per ogni singolo punto e il margine di errore è veramente minimo, pochi secondi di anticipo bastano per fare molti soldi”.

I dati li trasmettono usando dispositivi elettronici grandi quanto un bottone: “Li nascondiamo nelle scarpe, la pressione su uno o l’altro determina l’informazione su chi sia il vincitore del punto giocato”. Lo scambio di informazioni si fa tramite un’app: si chiama Premium e sincronizza il cellulare al computer del complice, basta inserire username e password.

In campo
Gli spalti di marmo dello stadio Pietrangeli, a Roma, sono circondati di statue. È il primo turno di qualificazioni degli Internazionali d’Italia e sul campo si stanno sfidando il norvegese Casper Ruud e l’italiano Lorenzo Musetti. Riccardo è arrivato da qualche ora, ma non è qui: “Vediamoci al campo 2, ti aspetto”, mi scrive mentre il norvegese chiude 6-1 il primo set.

Lo raggiungo e mi siedo accanto a lui, mentre è impegnato a cliccare. “Ho dei posti ben precisi dove posizionarmi, non stacco mai gli occhi dal campo e le esultanze le lascio al pubblico, io sono impegnato a fare soldi. Faccio il mio gioco dagli spalti senza farmi condizionare dai fattori esterni, tipo pubblico, agenti atmosferici e cali di concentrazione. Tutto con molta discrezione per non essere individuato mentre sto cliccando”.

Sul campo 2 sono al tie break, dopo due ore di gioco. “Da qui è più semplice capire come funziona”, dice Riccardo. I posti migliori dove sedersi sono quelli alle spalle dei giocatori, la visuale verticale del campo permette di leggere in anticipo le traiettorie vincenti e guadagnare ulteriori istanti sull’aggiornamento ufficiale dei risultati. “Il mio complice segue ogni mio movimento: mi avverte se non sono l’unico courtsider sugli spalti e mi consiglia quale partita seguire”. Il flusso di scommesse su quella partita e l’incertezza del risultato sono decisivi nella scelta di quale match seguire.

“Poco fa ho perso dei soldi mandando un’informazione sbagliata”, dice Riccardo. Da casa il complice non aspetta molto per farglielo notare. Passiamo qualche ora insieme girando per i campi, seguendo le direttive del complice a casa. Non siamo soli, ci sono altri courtsider.

Il giro di affari del courtsiding supera i confini nazionali: a farne parte non sono solo italiani, ma anche spagnoli, brasiliani, portoghesi e britannici. E poi estoni, polacchi e romeni: “Loro hanno tecnologie avanzate contro le quali non possiamo competere”. Per esempio un anello ultrasensibile: “Basta sfiorarlo per trasmettere l’informazione che viaggia su software e hardware tecnologicamente più avanzati dei nostri, noi non siamo abbastanza veloci”.

Scandali e scommesse online
Il fenomeno è noto a livello internazionale per due casi che hanno destato l’interesse dell’opinione pubblica e della giustizia sportiva. Nel 2016 quattro giudici di linea sono stati sospesi per aver ritardato intenzionalmente l’aggiornamento del punteggio, così da permettere agli scommettitori di effettuare puntate live sicure. Nel 2014 Daniel Dobson, funzionario dell’azienda di scommesse Sporting data, è stato arrestato durante gli Australian open con l’accusa di courtsiding. Nessun courtsider è mai stato condannato da un tribunale.

A intervenire è soltanto la Tennis integrity unit (Tiu), e la conseguenza è un daspo a vita, cioè il divieto di accedere a qualsiasi manifestazione tennistica. “Da quando sono stato scoperto, a Cincinnati, ho cambiato spesso identità per continuare a essere sui campi: delle volte bastano dei semplici travestimenti, altre volte divento Riccard0, con lo zero, per superare i tornelli e la lettura telematica dei biglietti”.

Lo svizzero Roger Federer durante la partita contro il croato Borna Ćorić agli Internazionali d’Italia, Roma, il 16 maggio 2019.

Le agenzie di scommesse hanno creato un enorme giro d’affari moltiplicando le giocate di ogni tipo, da quelle sul risultato di un game a quelle sul singolo punto. Nel 2012 l’International tennis federation (Itf) ha ceduto i propri dati live sulle partite al gigante Sportradar, che elabora e fornisce i risultati sportivi dei tornei, in base a un accordo da 70 milioni di dollari valido cinque anni. Dai tornei Future fino agli slam passando per Davis e Fed cup: ci sono 60mila match su cui scommettere, 45 tornei Atp, 61 Wta, 112 Challenger e 600 Future.

I courtsider sono attivi sui siti di gioco d’azzardo che offrono il betting exchange: una particolare tipologia di scommesse online che permette di puntare contro altri utenti, mentre nella modalità classica si fa contro il banco, il bookmaker. In Italia il betting exchange è legale dal 7 aprile 2014 grazie al decreto legge n. 47, che oltre a puntate e vincite regolamenta la commissione massima da riconoscere alla piattaforma: il 10 per cento.

Secondo i dati riportati dall’Agenzia giornalistica sul mercato del gioco (Agimeg), in Italia nel 2017 “in media il 66 per cento delle giocate viene effettuato live, a evento sportivo in corso, una percentuale che varia a seconda dello sport: nel calcio le puntate live rappresentano il 54 per cento del totale, nel tennis il 90 per cento mentre nel basket il 77 per cento”. Nel 2017 il betting exchange ha fatto registrare una crescita del cento per cento.

I guadagni dipendono da più fattori. “I tornei hanno diversi montepremi”, dice Riccardo, “e le partite di qualificazione sono meno seguite delle finali. Scommettere sull’ultima finale degli US open tra Novak Đoković e Juan Martín del Potro non è certo come puntare sulla prima fase di qualificazioni tra il colombiano Roberto Quiroz e il sudafricano Lloyd Harris. Altra variabile essenziale è la copertura televisiva dell’evento, che lo rende più appetibile a livello mondiale e fa aumentare i possibili scommettitori, e quindi i flussi delle scommesse e le possibili vincite”.

Diventare un courtsider è molto semplice, basta rispondere ad annunci su internet del tipo “Cercasi esperto di tennis. Retribuzione 50 euro al giorno”. “Le percentuali dei guadagni dipendono dagli accordi con chi da casa tesse le fila del gioco, lui prende una percentuale tra il 70 e l’80 per cento, a seconda di quanto sei affidabile sul campo. Il vitto, l’alloggio e i biglietti dei tornei sono tutti a carico suo”.

Le indagini e le contromisure
La Tennis integrity unit (Tiu), si occupa soprattutto di scovare i courtsider sugli spalti per conto dell’Itf. In un rapporto del 2017 sottolinea che “sebbene siano stati fatti degli sforzi per promuovere delle leggi specifiche, al momento non ce ne sono ancora. Tuttavia, sono stati presi provvedimenti, almeno ai livelli del grande slam e dell’Atp tour, per evitare il courtsiding”.

Quello che il documento non dice è che aggirare i loro controlli è molto facile perché nel tennis i biglietti non sono mai nominativi, eccetto che per il Roland Garros, e confondersi tra il pubblico è un gioco da ragazzi. Anche se il tennis è stato tra i primi sport a dotarsi di un proprio corpo investigativo: “Il programma anticorruzione conferisce alla Tiu il diritto di interrogare e ottenere, con il loro consenso, telefoni, tablet, computer e documenti degli indagati”.

Almeno riguardo al consenso, le cose non stanno proprio così, ci dice un altro courtsider incontrato a pochi passi dal Foro italico di Roma: “Ero all’Atp di Barcellona la prima volta che sono stato beccato. In due giorni avevo guadagnato seimila euro, ma poi qualcosa è andato storto”. Era il 25 aprile 2018 e sul campo 1 si stavano affrontando Rogério Dutra da Silva e Albert Ramos-Viñolas. “Stavo facendo il mio gioco quando sono arrivate due persone che mi hanno detto di seguirli in uno stanzino: sapevano cosa stavo facendo. Mi hanno spogliato, dicendo di essere della polizia, e si sono presi il mio telefono. Del mio consenso non si è parlato proprio. Ho provato a far presente la cosa alle autorità spagnole, ma non ho ricevuto risposte, e neanche il telefono”.

Ho contattato Mark Harrison, responsabile comunicazione della Tiu, per saperne di più sul giro di affari e sulle modalità con cui si cerca di arginare il fenomeno. La risposta è stata che la “Tiu non rivela dettagli operativi” e che solo “in alcuni paesi, tra cui l’Australia e gli Stati Uniti, vengono coinvolte le forze dell’ordine ed esiste una legislazione in grado di portare a sanzioni penali”.

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