Reti di libertà
Vivian e Tatiana sono molto amiche. Quando non si vedono al lavoro si videochiamano per tenersi compagnia nel viaggio di ritorno a casa, che fanno in autobus. Vivono a Bologna, in due parti diverse della città, ma lavorano entrambe alla Cirfood. La cooperativa, che ha la sede centrale a Reggio Emilia, si occupa di ristorazione ed è composta al novanta per cento da donne. Vivian e Tatiana sono state assunte nel 2022 per lavorare nella mensa dell’ospedale Maggiore di Bologna.
Dal 2018 la Cirfood collabora con il progetto Sistema di Accoglienza e Integrazione (Sai) del comune di Bologna. A partire dal 2021 è stata coinvolta nel progetto I-care del Movimento identità trans (Mit) e della cooperativa Cidas, che grazie ai fondi di coesione dell’Unione europea sviluppa progetti per contrastare lo sfruttamento nel mondo del lavoro e sostenere le vittime.
In questo caso l’impegno era quello di definire delle linee guida per la sensibilizzazione e il coinvolgimento di varie realtà sul territorio per l’inserimento lavorativo delle persone trans. “Alla Cirfood nessuno mi guarda in modo strano. Non mi era mai successo prima”, racconta Tatiana.
Vivian e Tatiana sono originarie del Brasile. Tatiana è arrivata nel 2003. Vivian dieci anni dopo. Per entrambe all’inizio non è stato facile: “Sono venuta qui perché c’era una mia amica. Il lavoro però era diverso da quello che pensavo. Mi sfruttavano, mi facevano lavorare come sex worker. Senza un contratto, dopo un po’ di tempo sono anche rimasta senza documenti”, dice Vivian. Per uscire da questa situazione, la donna è entrata in contatto con il progetto Orizzonti, a Padova, dove per un anno e mezzo ha potuto contare sulla loro rete di protezione. Poi le hanno proposto di tornare a Bologna e l’hanno presentata agli operatori della Cidas. Con il loro sostegno è entrata in un alloggio condiviso, chiamato Casa Caterina, dov’è rimasta per tre anni.
Vivian è arrivata nel 2013 a Pisa, dove ha conosciuto un uomo che l’ha costretta a prostituirsi. L’ha portata con sé in Sicilia: “Sono rimasta con lui cinque anni. Mi picchiava. A un certo punto ho detto basta e ho chiamato la polizia”. Alla stazione di polizia Vivian ha conosciuto un assistente sociale, che l’ha messa in contatto con un avvocato. Poco dopo ha incontrato un uomo che le ha offerto una casa in cui vivere. A quel tempo Vivian aveva una stanza in un dormitorio, così ha accettato. “Era sposato, mi chiudeva in casa con una catena. Purtroppo sono stata molto sfortunata. Non mi lasciava uscire. Mi chiudeva lì dentro e tornava a casa sua”, racconta. Grazie all’avvocato è riuscita a trovare un progetto di inserimento, ha incontrato gli operatori della Cidas e le è stato assegnato un alloggio condiviso a Bologna, chiamato Casa Marielle.
Casa Caterina e Casa Marielle fanno parte del progetto Sai del comune di Bologna e sono dedicate all’accoglienza di persone trans richiedenti asilo e rifugiate. Sono state aperte nel 2018 e nel 2021 nell’ambito del progetto metropolitano gestito da Asp della città di Bologna.
Casa Marielle si trova a Borgo Panigale, un quartiere poco fuori Bologna, mentre Casa Caterina è vicina al centro. Le persone vittime di discriminazione sono inserite in un percorso d’inclusione sociale e lavorativo. Tra i servizi offerti ci sono il sostegno psicologico e sanitario, l’orientamento e l’accompagnamento legale, l’insegnamento della lingua italiana e l’inclusione lavorativa per raggiungere l’autonomia.
Gli operatori e le operatrici aiutano le ospiti e gli ospiti anche nelle faccende pratiche: fare la spesa, organizzare i turni di pulizia, disbrigo di procedure burocratiche e mediche. Grazie alla Cidas l’accesso alle cure mediche ormonali e l’inizio del processo di transizione è semplificato, o quantomeno facilitato. Il percorso è lungo, faticoso psicologicamente e fisicamente per via dell’assunzione di farmaci, dell’operazione chirurgica e del cambio d’identità anagrafica.
“Cambiare il nome sul documento è molto costoso. Bisogna pagare la perizia psicodiagnostica e medica e le spese legali per il procedimento civile. Ci vogliono anni. Per ora non riesco”, racconta Vivian. Tatiana invece ce l’ha fatta: “Quando cercavo casa sapere che c’era il nome giusto sul mio documento mi tranquillizzava. Molte amiche hanno questo problema: la paura del controllo del documento, per il lavoro e per l’affitto”.
Il progetto Sai collabora con il Mit di Bologna. Fondato da Porpora Marcasciano nel 1979, il Mit è lo spazio più antico per l’affermazione e la lotta per i diritti lgbt+. Ogni settimana, tra le gigantografie di Marcellona (Marcella Di Folco, prima donna trans a ricoprire una carica pubblica di consigliera comunale nel 1995) si tiene una riunione aperta in cui ci si può presentare e parlare di sé, o semplicemente ascoltare. Uno spazio frequentato da giovani e meno giovani. Vivian e Tatiana quando possono vanno: “È importante sostenersi a vicenda”, dicono.
Dopo aver vissuto nelle case del progetto Sai per diversi anni, Vivian e Tatiana hanno trovato una loro sistemazione. Vivian abita con il fidanzato, invece Tatiana ha una stanza in una casa con altre persone vicino al centro di Bologna. “Nonostante il contratto di lavoro a tempo indeterminato, trovare casa in città è stato molto difficile”, dice. “Ogni mattina chiamavo tutti gli annunci che trovavo. Mi svegliavo alle 6. Alla fine ce l’ho fatta. Abito insieme a una coppia di studenti e a un uomo che ha la famiglia a Latina. Lavorava lì in un supermercato, che poi lo ha spostato in una sede bolognese. Tra due anni andrà in pensione, così finalmente tornerà a casa”. Tatiana ha un fidanzato che vive in un paesino del Veneto. Il weekend prende il treno per andare da lui.
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