In Italia lo scontro sull’agricoltura biodinamica è solo all’inizio
“Guarda queste piante quanto sono rigogliose. Pensa che sono tre mesi che non piove”. Aggirandosi tra i filari della sua vigna, Stefano Papetti mostra le foglie verdi, i germogli che spuntano, l’uva che cresce. Smuove il suolo con una mano e afferra una zolla fresca, quasi umida. “Il terreno è vivo perché noi lo manteniamo in vita. Poi beneficiamo anche di una posizione speciale, un corridoio naturale tra le due montagne più alte degli Appennini”.
Alle pendici della Maiella e del Gran Sasso, a due passi dal mare Adriatico che si scorge nitido in lontananza, l’azienda agricola De Fermo è una realtà importante di Loreto Aprutino, affermato centro vinicolo e olivicolo in provincia di Pescara. Sono in tutto 170 ettari. “Un decimo è destinato alla vigna. Il resto a oliveto, seminativi, pascoli e poi c’è un piccolo orto per la famiglia e gli operai agricoli che lavorano in azienda”, dice questo ex avvocato bolognese trapiantato in Abruzzo da ormai tredici anni. È dal 2008 che, insieme alla moglie Eloisa De Fermo e alla cognata Lucrezia, ha deciso di convertire l’azienda di famiglia ai princìpi della biodinamica. “All’inizio per me era un hobby. Ho voluto cominciare su un ettaro di vigna. Poi, visto che funzionava, abbiamo deciso di trasformare tutta l’azienda”. Oggi la De Fermo produce 60mila bottiglie all’anno di Montepulciano, Pecorino, Chardonnay: l’80 per cento va all’estero, soprattutto negli Stati Uniti e in Giappone. Il resto viene venduto in Italia, dove la richiesta di questi vini biodinamici è in crescita.
Un organismo vivente
Papetti si ispira direttamente ai princìpi esposti da Rudolf Steiner nelle celebri lezioni sull’agricoltura tenute nel castello di Koberwitz, nell’attuale Polonia, nel 1924. In quell’occasione il filosofo austriaco formulò la credenza secondo la quale l’azienda agricola deve essere considerata un organismo vivente, in cui ogni singola parte contribuisce al benessere del tutto. Così, accanto alle vigne ci devono essere gli animali d’allevamento, le api, le orticole, i cereali. Oltre a una pratica agronomica basata sulla rotazione tra colture, sulla concimazione vegetale attraverso i sovesci (interramento di colture allo scopo di mantenere o aumentare la fertilità del terreno), sull’assenza di trattamenti chimici secondo protocolli che ricalcano in parte quelli dell’agricoltura biologica, la biodinamica parla anche apertamente di influenze astrali, di energie cosmiche che devono essere attivate grazie alle forze nascoste della natura e all’azione dei corpi celesti.
Le varie operazioni agricole sono quindi dettate da un preciso calendario lunare e planetario che Papetti ha affisso nella cantina dove lascia fermentare in botte i suoi vini. “Imbottigliamo sempre in fase di Luna calante, quando la forza attrattiva del nostro satellite è minore”, sottolinea mentre spiega il funzionamento del calendario, in cui sono indicati con una serie di figure i giorni più propizi alla semina, alla raccolta, alla potatura e alla trasformazione dei prodotti.
Mentre l’influenza astrale e in particolare della Luna richiama metodi ancestrali seguiti da tempo immemore dai contadini, la biodinamica introduce alcune prassi più controverse, come l’uso dei cosiddetti preparati. Sono nove in tutto, ma i più celebri sono due: il corno-letame e il corno-silice, rispettivamente noti come preparato 500 e 501. Il primo è costituito da letame di vacca infilato nel cavo di un corno proveniente da una vacca che abbia partorito almeno una volta. Dopo essere stato riempito, il corno è sotterrato e lasciato a fermentare durante l’inverno. Recuperato in primavera, il contenuto trasformato in humus viene diluito in acqua di pozzo (“dinamizzato” secondo la definizione della biodinamica) e irrorato sui campi con l’obiettivo dichiarato di rinvigorire il terreno. Il corno-silice è costituito invece da polvere di quarzo lasciata sotterrata in un corno e poi diluita in acqua e spruzzata direttamente sulle piante nei mesi invernali per stimolarne la fruttificazione e i processi legati alla fotosintesi.
I preparati corno-letame e corno-silice sono gli oggetti del contendere in parlamento
“Sono tasti di una lunga tastiera”, dice Papetti mentre mostra l’humus e la polvere di quarzo che custodisce in contenitori di legno all’interno di un baule in cantina. “Quando si parla di biodinamica ci si concentra solo su questo aspetto dei preparati. Ma si tratta di semplici potenziatori: senza un approccio equilibrato tra le varie parti dell’individualità agricola, il corno-letame, il corno-silice e gli altri preparati non avrebbero alcuna efficacia”.
Indignazione in parlamento
Eppure, proprio queste pratiche sono al centro di una polemica virulenta che ha investito il parlamento, finendo per interpellare lo stesso rapporto tra politica e scienza. L’oggetto del contendere è il disegno di legge 988 sul biologico, che in un comma equipara la biodinamica all’agricoltura biologica. Nel testo la parola “biodinamica” compare appena quattro volte, ma tanto è bastato per scatenare un putiferio. In un accorato intervento in aula il 20 maggio del 2021, la senatrice a vita Elena Cattaneo ha esortato il parlamento a non legittimare pratiche “non solo antiscientifiche, ma schiettamente esoteriche e stregonesche” chiedendo di stralciare l’equiparazione. Al suo intervento è seguita una lettera aperta di alcuni autorevoli scienziati, che hanno chiesto al parlamento di non approvare il testo. L’appello non è stato raccolto: il senato ha votato la legge con una maggioranza compatta, con una astensione e l’unico voto contrario della senatrice Cattaneo. Al momento il disegno di legge è in attesa di essere licenziato in via definita dalla camera dei deputati.
La condanna della biodinamica è tutt’altro che unanime
Il via libera dei senatori “dimostra quanto la scienza sia trascurata in questo paese”, si indigna Roberto Defez, esperto di biotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e che è stato fra i promotori della lettera. “La comunità scientifica ha preso una posizione netta proprio perché l’eventuale approvazione di questa legge porterebbe alla negazione del metodo di Galileo Galilei. Se passasse questa idea, l’Italia sarebbe il primo paese al mondo a legittimare con una norma dello stato una pratica esoterica”. Lo studioso derubrica la biodinamica a puro “trucco di marketing” per un’agricoltura che ha rese molto minori di quella convenzionale, non ha prodotti di migliore qualità ma riesce, in virtù di una narrazione fiabesca, a spuntare prezzi anche quattro volte più alti tra consumatori creduloni.
Riprendendo i temi sottolineati da Cattaneo in aula e dalla lettera firmata insieme agli altri scienziati, Defez mette in evidenza le pratiche più stravaganti enunciate da Steiner. “L’agricoltura biodinamica usa parti di animali – quali teschi, pelli di topo, corna di vacca o vesciche urinarie di cervo – nelle quali infilare cortecce, fiori o letame, da sotterrare ed eventualmente dissotterrare dopo qualche tempo. A fondamento, essa evoca forze cosmiche come motrici di qualunque azione terrena: esse sarebbero responsabili perfino della fecondazione della femmina da parte del maschio”. Di fronte a tali affermazioni, la comunità scientifica ha secondo lo studioso il dovere di assumere posizioni nette. “Altrimenti finiremo per prendere decisioni non in base a quanto ha appurato la scienza, ma seguendo l’oroscopo”.
La posta in gioco
Se la lettera è firmata da esponenti molto accreditati del mondo accademico e scientifico, la condanna della biodinamica è tutt’altro che unanime. Oltre al senato che ha votato quasi in maggioranza la legge, c’è tutto un mondo di operatori del settore che, pur senza aderirvi, ritengono questo tipo di pratica agronomica degna di attenzione e di considerazione. “Io non credo alla biodinamica perché diffido per natura di ogni cosa che non posso verificare e che appare frutto di una rivelazione”, sottolinea Maurizio Gily, docente all’università di scienze gastronomiche di Pollenzo e consulente di diverse aziende di viticoltura biologica. “Tuttavia riconosco che le aziende biodinamiche non inquinano, sono sostenibili e hanno un approccio agronomico piuttosto interessante. Se poi i produttori ululano alla Luna prima di imbottigliare il vino o usano preparati strani, a me poco importa. Magari queste pratiche non servono a molto, ma sicuramente fanno meno danni di molteplici trattamenti chimici nel terreno”.
Secondo Gily la posta in gioco della polemica va al di là del riconoscimento formale della biodinamica. “I critici usano il pretesto della biodinamica per bloccare la legge sul biologico. Non capiscono tuttavia che la loro è una battaglia di retroguardia: se l’Unione europea ha indicato nella strategia ‘Farm to fork’ che il 25 per cento dei terreni dovranno essere coltivati in regime biologico entro il 2030, gli stati membri non potranno che adeguarsi”. Molti tra gli odierni detrattori della biodinamica, tra cui la senatrice Cattaneo e lo stesso Defez, esprimono da tempo scetticismo sull’agricoltura biologica. Ma lo studioso nega ogni secondo fine: “Personalmente ho varie perplessità sul biologico, che ha rese minori e costi maggiori. Ma almeno con i produttori biologici si ragiona usando le stesse categorie di pensiero: si verificano i dati, si usa il metodo scientifico. Questo linguaggio comune manca con gli agricoltori biodinamici, che evocano energie cosmiche prescindendo dalle leggi della biologia, della chimica e della fisica”.
Un movimento pratico e uno spirito libero
“Queste polemiche sono strumentali e fatte da un gruppo di persone che non conosce la realtà”, ribatte Michele Lorenzetti. “Io dico a questi detrattori che la scienza dovrebbe ricercare e cercare di scoprire, invece di limitarsi a deridere. Invocano Galilei, ma sono i primi a non voler applicare il metodo scientifico alla biodinamica”. Grande sostenitore della funzione dei preparati, Lorenzetti, enologo e biologo, è tra gli autori di uno studio sul corno-letame (ancora in attesa di revisione paritaria), in cui si sostiene che l’interazione tra la cheratina, componente principale dei corni, funga da biostimolatore sulle famiglie di funghi presenti nel letame di vacca, consentendo la produzione di classi batteriche utili al terreno. “Abbiamo dimostrato che il preparato 500 presenta un’enorme biodiversità di microrganismi che arrivano anche a duemila tipi diversi”. Lorenzetti è impegnato da ormai vent’anni a dare consulenze alle aziende che vogliono convertirsi al biodinamico. “Spesso si cita Steiner e si immagina che gli agricoltori biodinamici facciano parte di una setta. In realtà si tratta di un movimento pratico, fatto di sostanza e risultati, oltre che di persone che hanno sviluppato le idee iniziali del filosofo austriaco”.
Per Lorenzetti, Steiner ebbe solo l’intuizione di partenza. “Altri seguirono le sue orme, dando forma a un movimento che oggi conta migliaia di membri tra gli agricoltori in tutto il mondo, dalla Germania agli Stati Uniti, fino in Australia”. Steiner, che non era un agricoltore né si era mai occupato di agricoltura, è in effetti morto nel 1925, un anno dopo aver tenuto il corso nel castello di Koberwitz. Le sue idee sono state poi sviluppate da seguaci: il chimico tedesco naturalizzato statunitense Ehrenfried Pfeiffer, l’agricoltrice Maria Thun, che ha elaborato il calendario delle semine e, soprattutto, Alex Podolinsky.
Secondo i dati del ministero dell’agricoltura, il fatturato medio per ettaro di un’azienda certificata biodinamica è di 13.309 euro, quattro volte di più di un’azienda convenzionale
La vita di Podolinsky, scomparso due anni fa alla veneranda età di 94 anni, somiglia alla saga di un romanzo che attraversa tutto il novecento. Nato nel 1925 da una famiglia nobile ucraina-russa fuggita in Germania allo scoccare della rivoluzione d’ottobre, passò la sua infanzia in Svizzera, dove fu istruito dalla stessa moglie di Steiner. Sorpreso nel cuore dell’Europa dallo scoppio della seconda guerra mondiale, fu arruolato a forza nell’esercito della Germania, paese d’origine della madre. Finito il conflitto, fu costretto nuovamente a emigrare per il timore di essere rimpatriato in Unione Sovietica, dove Stalin aveva in animo di far tornare tutti i discendenti degli ex aristocratici russi. Senza un soldo in tasca, si imbarcò quindi con la giovane moglie Kathrin alla volta dell’Australia, paese che era convinto di aver visto in sogno già all’età di tre anni. Qui cominciò a convertire terreni abbandonati alla pratica biodinamica, riscuotendo successi via via più palpabili. Viaggiatore instancabile, ha poi continuato a girare il mondo, dal Sudafrica all’Europa, per fornire consulenze a quanti volessero praticare questo tipo di agricoltura.
“Era uno spirito libero, una persona davvero eccezionale”. Pasquale Falzarano non nasconde l’emozione quando parla dell’uomo che tanto ha segnato la sua vita. Direttore generale di Agrilatina, azienda nel cuore del Parco nazionale del Circeo, questo agricoltore sulla sessantina racconta come è entrato in contatto con quello che sarebbe diventato il suo mentore. “In uno dei suoi giri per l’Italia, Podolinsky è passato in auto davanti alla nostra sede. La persona che lo accompagnava gli ha detto che noi facevamo produzione biologica e che nel passato avevamo manifestato interesse per la biodinamica. Lui era stanco: era appena arrivato dall’Australia e in pieno jet-lag. Ha detto ok, entriamo ma stiamo dieci minuti. È rimasto tutto il giorno”. Falzarano racconta di questo primo incontro; di come Podolinsky si aggirasse per i suoi campi scuotendo il capo e dicendo ogni due parole “wrong, wrong, qui è tutto sbagliato”. Di come la sua personalità carismatica gli abbia instillato il dubbio, tanto da spingerlo da lì a poco ad andare a fare una missione di conoscenza in Australia. Ricorda quindi le decine di aziende visitate insieme a lui, il tempo che gli ha dedicato spiegandogli i princìpi della pratica agricola e gli ultimi due giorni trascorsi a casa sua a fare un corso accelerato su tecniche e preparati. “Al ritorno dal viaggio abbiamo deciso con il mio socio che avremmo seguito le sue indicazioni. Mai scelta si è rivelata più azzeccata”. Era il 1993: quasi trent’anni dopo, Agrilatina è una realtà consolidata del mondo biodinamico italiano, con una produzione di orticole e di frutti che esporta soprattutto nel Nordeuropa.
Falzarano è un uomo pacato che crede nell’armonia del creato e nella necessità di trovare un equilibrio costante tra ambiente e produzione, tra l’esigenza di garantire un reddito alla sua azienda e quella di avere cura dell’ecosistema. Il suo è stato un percorso di graduale ma radicale trasformazione: convinto sostenitore dell’agricoltura convenzionale da giovanissimo, tanto da diventare uno dei consulenti più quotati nell’applicazione di metodi chimici della provincia di Latina, ha convertito l’azienda al biologico nel 1987, in tempi in cui questo tipo di produzione non aveva in Italia né conoscenze né mercato. Poi, dopo l’incontro con Podolinsky l’ulteriore salto nel buio, con il passaggio al biodinamico. “Nei sei anni in cui abbiamo fatto biologico siamo riusciti a mantenere stabile la fertilità del terreno, mentre le aziende che facevano convenzionale registravano un calo inesorabile. Ma il biodinamico è diverso: fa aumentare la fertilità dei suoli, attiva dei processi sotterranei attraverso l’osservazione e la sperimentazione”.
Energie pragmatiche
Agrilatina non somiglia in nulla a un’azienda agricola tradizionale: tra i suoi 150 ettari, che si allungano tra il lago di Fogliano e la strada litoranea che costeggia il parco nazionale del Circeo, ci sono intere aree lasciate a bosco, una mandria di 70 vacche di razza marchigiana usate per produrre il letame per le concimazioni, un frutteto di varietà antiche che Falzarano è andato a reperire in mezza Italia. E poi i campi destinati alle produzioni principali: la batata viola e rossa, tubero particolarmente apprezzato in Germania, il kiwi giallo, il cavolo, gli asparagi. Una bottega all’ingresso vende prodotti a chilometro zero destinati soprattutto ai locali. “Per poter far beneficiare anche il nostro territorio di produzioni sane a prezzi accessibili”.
Anche Falzarano parla di energie cosmiche, di forze spirituali, di ritmi e frequenze della natura. Ma è soprattutto un pragmatico: sa che un’azienda agricola deve prima di tutto garantire un reddito ai suoi conduttori. La produzione biodinamica ha rese inferiori al convenzionale e costi di manodopera più elevati, perché richiede un controllo costante dei terreni e molte pratiche manuali. Ma al contempo garantisce utili notevolmente più alti a chi la pratica: secondo i dati del ministero dell’agricoltura, il fatturato medio per ettaro di un’azienda certificata biodinamica è di 13.309 euro, quattro volte di più di un’azienda convenzionale. Si tratta di colture ad alta redditività, rivolte per lo più a mercati esteri molto remunerativi. Un dato che il direttore conferma, segnalando un leggero cambio di tendenza negli ultimi tempi: “All’inizio il 99 per cento del nostro lavoro era diretto all’esportazione. Oggi siamo sul 70 per cento”.
I prodotti di Agrilatina sono tutti a marchio Demeter, il soggetto privato che fornisce la certificazione biodinamica. Nato in Germania nel 1927, questo marchio è oggi controllato da un ente, la Demeter international con sede a Darmstadt, a pochi chilometri da Francoforte, e da una serie di sedi locali in vari paesi – quella italiana è a Parma. Accusata dai suoi detrattori di essere una multinazionale dai bilanci poco trasparenti, si autodefinisce una semplice associazione di produttori. In realtà è una via di mezzo: pur non essendo l’unico ente certificatore, esercita un monopolio di fatto e abbastanza rigido sulle pratiche biodinamiche – che in passato si è anche esplicitato attraverso cause legali verso quanti si fregiavano del titolo biodinamico ma non volevano sottostare alle regole dell’associazione (tra cui il versamento di una percentuale sui proventi pari al 2 per cento).
Tra i produttori che praticano la biodinamica in Italia, quelli che aderiscono a Demeter sono una minoranza, circa il 10 per cento. Molti non lo fanno perché non hanno interesse ad avere una certificazione costosa che non risulta utile per raggiungere i loro mercati di riferimento. Altri perché non hanno in azienda la possibilità di soddisfare le condizioni per ottenere la certificazione. Altri ancora perché hanno un atteggiamento critico verso l’associazione.
Questa polemica riguarda una pratica tutto sommato marginale: in Italia le aziende biodinamiche sono circa 4.500 e coprono lo 0,11 per cento della superficie agricola coltivata
Anna Federici ha deciso fin dall’inizio di affidarsi a Demeter. “L’ho fatto non tanto per la certificazione ma per il metodo, che è molto rigoroso. E che viene monitorato attraverso visite frequenti da parte di ispettori”. Titolare di una grande azienda alla periferia ovest di Roma, la Agricola Boccea, Federici racconta che, quando ha preso in mano i terreni di famiglia, ha deciso da subito che li doveva rilanciare con una diversa pratica agronomica. Si è avvicinata quindi al metodo biodinamico e ha seguito quello che definisce un approccio sistemico: “Devi ripensare tutta l’organizzazione aziendale. È un processo lungo, che richiede un cambio di mentalità”. Oggi, sui suoi 270 ettari Agricola Boccea produce carne con una mandria di 300 capi, seminativi, olio e ortaggi di vario tipo. “L’agricoltura convenzionale spinge per la monocultura, che impoverisce il terreno. L’azienda deve invece essere considerata un piccolo ecosistema, in cui la chiave fondamentale è la biodiversità. Perché questo modo di produzione è l’unico che permette di lasciare ai posteri un ambiente non devastato”.
Tra polemiche e fake news
Federici sostiene di essere rimasta un po’ sorpresa dal polverone alzato dagli scienziati. “Penso che ognuno sia libero di scegliere se fare agricoltura convenzionale, biologica o biodinamica. Quello che è inaccettabile è la demonizzazione di una pratica agricola”. Rovescia quindi le argomentazioni presentate nella famosa lettera aperta: “Ci accusano di stregoneria. Ma io chiedo loro: chi è il vero stregone? Chi predica una nuova armonia tra natura ed essere umano e pratica un’agricoltura meno impattante o l’agronomo che gira per le campagne proponendo prodotti a base di ormoni miracolosi che fanno crescere le piante oppure diserbi e insetticidi chimici sterminatori?”.
Quello che colpisce di questa polemica è che riguarda una pratica tutto sommato marginale: in Italia le aziende biodinamiche sono circa 4.500 e coprono 15mila ettari, ossia lo 0,11 per cento della superficie agricola coltivata. Quelle certificate Demeter sono poco più di 400. Viene da chiedersi: era così necessario scatenare un tale vespaio per un gruppo sparuto di agricoltori magari un po’ eccentrici, ma che non fanno nulla di male al terreno né alle persone? “Si tratta di una linea da non superare. Se dovesse passare la legge, finiremmo per finanziare con fondi pubblici pratiche magiche”, insiste Defez. “L’idea di finanziamenti pubblici alla biodinamica è una fake news. La biodinamica non ha un sistema di certificazione ufficiale ed è finanziata solo in quanto dotata di una certificazione di agricoltura biologica”, ribatte Gily. Anche la polemica su Demeter appare secondo Gily largamente strumentale. “Se confrontassimo il bilancio di Demeter con quello di grandi aziende dell’agroindustria, come Bayern o Syngenta, ci verrebbe da ridere”.
Dietro questa sfida all’ultimo colpo sembra tuttavia intravedersi una contrapposizione più ampia, che investe due diversi e poco conciliabili modelli agricoli: il primo, quello convenzionale, basato sulla chimica e sul cosiddetto ciclo azoto-fosforo-potassio; il secondo basato maggiormente su un approccio rigenerativo e un’attenzione alla fertilità del suolo. Il primo è figlio della rivoluzione verde lanciata nel secondo dopoguerra dallo scienziato statunitense Norman Borlaug, che attraverso la selezione genetica e l’uso di fertilizzanti di sintesi ha aumentato in modo rilevante le rese e la produttività dei campi, permettendo di salvare da fame e malnutrizione centinaia di milioni di persone ma consumando le risorse dell’ambiente.
Il secondo rappresenta un ritorno a pratiche meno invasive, a un’agricoltura basata sull’osservazione e sull’uso di input non chimici. Il primo aggiunge quello che manca e interviene per rimuovere i problemi; il secondo cerca la causa dei problemi e agisce costantemente per prevenirne l’insorgere. La biodinamica rappresenta la frontiera più estrema di quest’ultimo modello, che trova varie e difformi declinazioni – dal biologico all’agroecologico, per arrivare all’agricoltura organica e rigenerativa – tutte improntate a una riduzione dell’impatto che l’agricoltura ha sugli ecosistemi in termini di inquinamento delle falde acquifere e dei terreni, nonché come emettitrice di gas clima-alteranti.
I fautori della prima scuola sostengono che la seconda non sarebbe mai in grado di garantire la sicurezza alimentare a una popolazione mondiale in crescita; quelli della seconda insistono che l’agricoltura convenzionale ha mostrato da tempo i suoi limiti, producendo danni ambientali e sociali largamente più rilevanti dei benefici iniziali. I primi affermano che solo attraverso la tecnologia si potrà ottenere un’agricoltura più sostenibile, che consumi meno suolo e richieda meno acqua e sia di conseguenza più amica dell’ambiente. I secondi ribattono che l’agricoltura si è avvalsa di tecniche rigenerative per migliaia di anni e che solo nel secondo dopoguerra si è deciso di renderla intensiva attraverso un processo di industrializzazione che ha spezzato i cicli naturali, puntando sulle monocolture e sulla chimica.
Questa differenza di visione spiega il livore e i toni accesi di uno scontro che altrimenti apparirebbe incomprensibile: i produttori biodinamici sono visti dagli scienziati come un manipolo di idealisti che stanno irretendo anche i politici, spingendo per un’agricoltura che sarà di pura sussistenza e porterà il mondo verso il collasso alimentare. I biodinamici da parte loro si considerano pionieri di un nuovo paradigma agricolo, basato sul rovesciamento del dogma della produttività che ha guidato la produzione alimentare negli ultimi settant’anni. Ciò che emerge dietro il rimpallo di accuse è sostanzialmente la necessità di dare una risposta strutturata al cruciale interrogativo del futuro: in un mondo sempre più sovrappopolato e sfiancato dal surriscaldamento globale, come riusciremo a sfamare tutti? Bisognerà puntare su nanotecnologie, tecniche di manipolazione genetica e sviluppo di varietà più resistenti e adatte al nuovo contesto climatico, oppure avere un’attenzione più marcata verso il rispetto degli ecosistemi, la biodiversità, la sostenibilità? Una risposta esaustiva è difficile da dare, ma quel che è certo è che lo scontro è solo all’inizio.