“La mia casa era in fiamme, l’esercito è venuto con armi e benzina. Non potevamo restare lì”. Il 25 agosto l’Arsa, un gruppo armato che dice di battersi per i diritti della minoranza rohingya, ha attaccato alcuni commissariati della polizia birmana uccidendo 12 agenti. L’esercito ha risposto lanciando una rappresaglia contro i civili rohingya, avallata dal governo. Durante l’operazione di pulizia etnica più di mille persone sono state uccise e oltre 600mila sono scappate in Bangladesh.
Oggi nel distretto bangladese di Cox’s Bazar ci sono 830mila profughi. Il 23 novembre il governo birmano e quello bangladese hanno firmato un accordo per il rimpatrio dei rohingya, senza però fornire dettagli su come dovrebbe avvenire.
I rohingya, musulmani che vivono nello stato birmano del Rakhine, non sono riconosciuti come minoranza dalla Birmania, che li considera da decenni immigrati irregolari bangladesi. Apolidi e senza documenti, non hanno accesso ai servizi di base e sono discriminati dalla maggioranza buddista.
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