L’11 giugno il governo birmano ha dichiarato lo stato d’emergenza nello stato di Rakhine, al confine con il Bangladesh, dove ci sono stati violenti scontri tra la maggioranza buddista - di etnia rakhine - e la minoranza musulmana, di etnia rohingya.
In seguito alle violenze, in cui sono morte almeno 29 persone, migliaia di rohingya hanno cercato di lasciare la Birmania in barca, attraversando il fiume Naf. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnu) ha chiesto al governo del Bangladesh di aprire le frontiere ai profughi, ma Dhaka continua a respingerli.
L’ondata di violenze è cominciata dopo lo stupro e l’omicidio di una ragazza buddista, avvenuto il 28 maggio, del quale sono stati accusati tre giovani rohingya. Pochi giorni dopo una folla di rakhine ha assalito un autobus di pellegrini musulmani provenienti da Rangoon linciando dieci persone.
Nel Rakhine vivono circa 800mila rohingya, su una popolazione di quattro milioni di persone, ma molti abitanti non li considerano birmani: li ritengono dei bengalesi musulmani, arrivati con gli inglesi. Come tali sono privati, secondo l’Acnur, di molti diritti fondamentali: non hanno cittadinanza, non sono liberi né di spostarsi né di sposarsi e non hanno accesso a cure e istruzione.
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