I rohingya sono un popolo di fede islamica concentrato soprattutto nello stato di Rakhine, nel nordovest della Birmania. Sono stati resi apolidi da una legge sulla cittadinanza approvata nel 1982, che li classifica come musulmani senza stato originari del Bangladesh, e, nonostante vivano nel Rakhine da generazioni, il governo e molti birmani li considerano “immigrati bangladesi illegali”.

Si stima che i rohingya siano 800mila ma non ci sono dati ufficiali recenti: i nuovo censimento della popolazione birmana, svolto negli ultimi mesi, ha incontrato diversi problemi e sembra che dalla rilevazione siano state escluse diverse centinaia di persone delle minoranze etniche.

Secondo un recente rapporto di Fortify rights i rohingya sono vittime di crimini contro l’umanità da parte delle autorità locali. E ora stanno attraversando una crisi umanitaria.

Le violenze scoppiate nel giugno del 2012 in quella regione tra buddisti, che in Birmania sono la maggioranza, e la minoranza musulmana hanno provocato 140 morti, raso al suolo interi villaggi e costretto almeno 140mila sfollati (in grandissima parte rohingya) a sistemarsi in campi di fortuna in Birmania o nel vicino Bangladesh. Solo nei nove campi sovraffollati intorno a Sittwe, la capitale del Rakhine, vivono più di 75mila persone. Ora, anche in seguito a restrizioni agli aiuti internazionali, i rohingya vivono una crisi umanitaria.

A febbraio il governo birmano infatti ha limitato l’azione di alcune organizzazioni non governative presenti nel Rakhine e ha espulso dal paese Medici senza frontiere, che forniva assistenza sanitaria a più di 500mila rohingya e aveva denunciato le violenze contro la popolazione nella città di Maungdaw, nel Rakhine (per le Nazioni Unite in quell’occasione almeno 40 rohingya sarebbero stati uccisi dalla folla e dalle forze di sicurezza, ma il governo birmano ha negato che ci siano state vittime). A marzo altre organizzazioni sono state costrette a lasciare la zona.

Le autorità hanno promesso che le organizzazioni non governative sarebbero tornate del tutto operative in aprile, ma per ora solo la distribuzione di cibo gestita dal Programma alimentare mondiale dell’Onu funziona, mentre i responsabili locali del centro che coordina gli aiuti hanno imposto agli altri enti condizioni restrittive come l’obbligo di comunicare gli spostamenti e i piani di sostegno e non favorire i rohingya.

Win Myaing, un portavoce del governo del Rakhine, ha dichiarato che nella regione non c’è nessuna crisi sanitaria. “Un gruppo di persone in uno dei campi temporanei mostra gli stessi bambini malati a chiunque arrivi”, ha detto. “E anche quando il governo predispone l’assistenza medica loro non la vogliono”.

Diversi paesi, tra cui Stati Uniti e Regno Unito, hanno chiesto alla Birmania di consentire alle organizzazioni umanitarie di rientrare nel Rakhine, ma per ora il loro appello non ha avuto molti risultati.

Le foto sono state scattate a Sittwe, tra il 22 e il 24 aprile 2014.

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