L’11 giugno 1984 moriva nell’ospedale di Padova Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano dal 1970. Berlinguer era stato colpito da un’emorragia cerebrale quattro giorni prima, l’8 giugno, durante un comizio a Padova.
Schivo e timido, Berlinguer è stato un leader molto amato. Sotto la sua guida il Pci riuscì a conquistare il 34,4 per cento dei voti, nelle elezioni del 1976, il massimo mai raggiunto in Italia dai comunisti. Al suo funerale in piazza san Giovanni a Roma partecipò un milione di persone, tra cui i leader dei partiti comunisti di tutto il mondo.
Nato a Sassari il 25 maggio del 1922, Berlinguer entrò nel Pci nel 1943, quando il partito era in clandestinità, nel 1944 partecipò alla rivolta dei forni di Sassari e per questo episodio finì in carcere. Nel 1948, a 26 anni, entrò nella direzione del Pci.
Nel 1972 diventò segretario del Pci. Dal 1973 al 1979 Berlinguer cercò di creare i presupposti di un governo con la Democrazia cristiana, convinto che le forze comuniste e socialiste potessero allearsi con quelle cristiane e democratiche per riformare il paese. Anche per questo motivo fu molto criticato dalla sinistra extraparlamentare e dal movimento studentesco.
Nel 1977 a Mosca Berlinguer pronunciò un discorso storico, per il 60° anniversario della rivoluzione d’ottobre, che viene ricordato come lo “strappo” dall’Unione sovietica. “L’esperienza compiuta”, disse Berlinguer, “ci ha portato alla conclusione che la democrazia è oggi non soltanto il terreno su cui l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma anche il valore storicamente universale sul quale fondare una società socialista”. Anni dopo Michail Gorbačëv, che era presente al discorso di Berlinguer, disse che le parole del leader italiano l’avevano molto colpito.
Nel 1981, in un’intervista con Eugenio Scalfari, Berlinguer accusò la classe politica italiana di corruzione, sollevando la cosiddetta questione morale.
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