La Valle del Sacco, un’area del Lazio meridionale in provincia di Frosinone e che prende il nome dal fiume che l’attraversa, è soprannominata anche valle dei veleni. Dal 1912, infatti, ospita alcune industrie belliche specializzate nella fornitura di tecnologie per trasformare armi convenzionali in armi chimiche.

Una produzione continuata anche dopo la seconda guerra mondiale tanto che, secondo un rapporto di Legambiente, “alcuni documenti riportano una correlazione tra la produzione dell’industria bellica di Colleferro e le tecnologie fornite all’Iraq di Saddam Hussein negli anni ottanta”. Ancora oggi nell’area sono attive produzioni belliche “ma sull’inquinamento ci sono ancora poche informazioni pubbliche, a causa del segreto militare”, continua Legambiente nel 2012.

Nel dopoguerra la valle è stata inserita nella categoria delle aree depresse, dando il via a un veloce processo di industrializzazione che, pur avendo comportato un miglioramento nelle condizioni economiche e sociali della popolazione, ha però compromesso la naturale vocazione agricola della regione. Nel 2005 è arrivato il riconoscimento dello stato di emergenza socio-economico-ambientale

Anni di indagini hanno confermato l’entrata in circolo nella catena alimentare di agenti tossici come il beta-esaclorocicloesano, presente nel lindano, un potente insetticida impiegato in agricoltura fin dagli anni cinquanta e vietato solo nel 2001. Oggi il bacino del fiume Sacco è inserito tra i siti di bonifica di interesse nazionale, ma le operazioni sono ferme.

Questo è il contesto di squilibrio ecologico raccontato da Simone D’Angelo nel progetto I must have been blind, realizzato tra la fine del 2014 e il marzo del 2015 e premiato nel 2015 come miglior progetto nel Leica talent. Il progetto sarà esposto dal 22 giugno 2015 al teatro Ambra alla Garbatella, a Roma, nell’ambito del festival Fotoleggendo.

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