Chi frequentava William Gedney (1932-1989) lo ha descritto come un uomo molto riservato, quasi un solitario, anche se molto affezionato alle sue amicizie. Ma scriveva incessantemente e teneva molti diari. In uno di questi appuntava: “Non mi considero un fotografo che si occupa di problemi sociali, mi interessa prima di tutto fare una buona foto, che riesca a mettere insieme la forma, il contenuto e il suo significato”.
La mostra William Gedney: all facts eventually lead to mysteries, esposta alla galleria Howard Greenberg di New York fino al 19 marzo 2016, presenta alcune opere di Gedney, scattate negli Stati Uniti tra il 1960 e il 1970, e rimaste inedite per almeno quarant’anni. Le immagini di Gedney offrono uno sguardo empatico ed elegante sia quando ritrae i minatori e le famiglie contadine del Kentucky, sia quando racconta la cultura degli hippy e la solitudine delle strade notturne di San Francisco. Il curatore John Szarkowski diceva che le foto di Gedney “fanno capire chiaramente quanto gli individui siano più complessi e più interessanti dei loro cliché”.
In un altro diario, datato 1962, Gedney scriveva: “Quello che conta di più per me è penetrare nella vita delle persone, nel loro modo di vivere, e guardare le loro facce mentre cantano ai loro matrimoni, pranzi e funerali, e di tutte queste occasioni preservarne qualcosa che vada al di là delle canzoni e delle parole, e trovare un’essenza astratta che lasci una forza vibrante dentro chi le guarda”.
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