Ogni azione contiene un rischio intrinseco e ogni atto, ripetuto costantemente, diventa un rito. Premere l’otturatore, mettere a fuoco, scegliere l’obiettivo da usare, sono tutte azioni rituali per un fotografo, ma la fotografia va ben oltre queste azioni. L’immagine non è solo un’immagine, è anche un documento, un messaggio e il racconto di una realtà”.

Questa considerazione è alla base della settima edizione del Lagos photo festival, il primo e unico festival di fotografia della Nigeria, quest’anno dedicato al tema Rituals and performance: inherent risk. “I fotografi che vengono in Africa raccontano spesso storie senza speranza sostenendo di raccontare la verità, ma si può dire molto più di questo”, spiega Azu Nwagbogu, il fondatore del festival.

Tra i lavori esposti quest’anno c’è quello di Kiluanji Kia Henda intitolato Self-portraits as a white man in cui l’artista riflette sul valore dell’arte in quanto documento storico; Jenevieve Aken con il progetto Great expectations in cui si chiede che peso abbia il rito del matrimonio nel corso della vita di una donna africana.

E ancora, The art of survival, in cui Patrick Willocq realizza scenari fantastici per offrire una prospettiva nuova e ottimistica sulla crisi dei migranti e dei profughi.
Fati Abubakar con il suo progetto The face series chiede ai nigeriani che vivono sotto la minaccia dei militanti di Boko haram, di mettersi in posa davanti al suo obiettivo. “Anche questo è un rito, in cui Abubakar torna a ritrarre le stesse persone, in diversi periodi, in un’occasione partecipativa”, spiegano ancora i curatori.

Le mostre dureranno fino al 21 novembre 2016.

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