Conosciuta per le fotografie dei paesaggi newyorchesi, nel corso della sua carriera Berenice Abbott ha raccontato anche la vita degli omosessuali e delle lesbiche a Parigi negli anni venti e a New York fino al 1965. Negli ultimi anni si è dedicata alla sperimentazione più astratta sul dinamismo e gli equilibri delle forme.
Nata nel 1898 a Springfield, in Ohio, si trasferì a New York nel 1918 per studiare scultura. Incontrò molti protagonisti dell’avanguardia artistica e letteraria. Tra loro, anche Man Ray, con cui strinse un rapporto d’amicizia che la spinse a seguirlo fino a Parigi, dove lavorò come sua assistente tra il 1923 e il 1926.
In questo periodo posarono davanti al suo obiettivo personaggi come Jean Cocteau, James Joice, Max Ernst e André Gide. Quando infine aprì un suo laboratorio, fotografò anche molte artiste lesbiche, tra cui Margaret Anderson, Jane Heap e Sylvia Beach. È in questa fase della sua vita che incontrò il fotografo francese Eugène Atget, conosciuto soprattutto per il suo lavoro sui cambiamenti del paesaggio urbano di Parigi.
L’influenza di Atget sul lavoro di Abbott è visibile nelle opere che la fotografa realizzò negli anni trenta negli Stati Uniti, dove documentò i cambiamenti delle città, soprattutto New York, nel periodo successivo alla grande depressione del 1929. Il suo stile si trasformò ancora quando, nel 1940, diventò picture editor per la rivista Science Illustrated. Le immagini scientifiche diventarono per lei uno spazio privilegiato di osservazione della realtà, oltre il paesaggio urbano.
Il museo Man di Nuoro ospita la prima grande retrospettiva italiana dedicata a Berenice Abbott, che durerà fino al 21 maggio 2017, divisa in tre sezioni: ritratti, New York e fotografie scientifiche.
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