Il 19 maggio è morto il fotoreporter statunitense Stanley Greene, aveva 68 anni. Nato a Brooklyn, New York, da adolescente ha militato nel partito delle Pantere nere e si è schierato contro la guerra del Vietnam.
All’inizio della sua carriera, tra gli anni settanta e ottanta, racconta la scena punk di San Francisco nel lavoro The Western front. Ma dopo un incontro con il fotografo W. Eugene Smith, sceglie di dedicarsi al fotogiornalismo e comincia a collaborare con vari quotidiani e riviste.
Nel 1989 è a Berlino e documenta la caduta del muro. Nel 1993, mentre lavora per l’agenzia francese Vu (dove entra nel 1991), segue l’assedio alla Casa Bianca di Mosca, allora sede del parlamento, durante la presidenza di Boris Eltsin.
Negli anni novanta fotografa la guerra e la carestia in Sudan e le conseguenze del disastro di Bhopal, in India. Per quasi dieci anni, fino al 2001, racconta il conflitto in Cecenia tra i separatisti e le forze armate russe. Nel 1994 Medici senza frontiere lo invita a seguire e documentare le operazioni di soccorso durante l’epidemia di colera in Ruanda e Zaire (oggi Repubblica democratica del Congo).
Dopo aver seguito i conflitti in Iraq, Darfur, Afghanistan, Kashmir e Libano, nel 2007 Greene fonda l’agenzia Noor. Nella sua carriera ha vinto cinque premi del World press photo e il W. Eugene Smith award nel 2004.
Il 21 aprile 2017 ha tenuto la Sem Press lecture, una conferenza annuale che si svolge durante il festival del World press photo ad Amsterdam.
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