Secondo un rapporto pubblicato il 27 ottobre da Human rights watch (Hrw), in Nigeria i ribelli di Boko haram usano le donne e i ragazzi rapiti per farli combattere in prima linea.
L’organizzazione per la difesa dei diritti umani Hrw, che ha raccolto decine di testimonianze di donne che sono state ostaggio dei terroristi, denuncia i traumi fisici e psicologici di cui soffrono le donne una volta liberate.
Il rapporto è stato diffuso a una settimana di distanza dal rapimento di trenta adolescenti – maschi e femmine, di cui i più giovani hanno 11 anni – nello stato di Borno, centro dell’insurrezione nel nordest del paese. Pochi giorni prima, altre sessanta tra donne e ragazzine erano state rapite a Wagga e a Gwarta, altre due città nel Borno.
Questi due rapimenti hanno sollevato ulteriori dubbi sul cessate il fuoco che le autorità nigeriane hanno annunciato di aver firmato a metà ottobre con Boko haram e che prevedeva la liberazione delle 219 liceali rapite a Chibok nel mese di aprile e ancora nelle mani degli islamisti.
Nel rapporto di Hrw, una ragazza di 19 anni che nel 2013 è rimasta per tre mesi nelle mani di Boko haram racconta di essere stata costretta a partecipare ad alcuni attacchi lanciati dagli islamisti.
“Mi hanno chiesto di trasportare le munizioni e di restare distesa in mezzo all’erba mentre loro combattevano. Nel corso della battaglia, andata avanti tutto il giorno, venivano a rifornirsi di munizioni”, ha raccontato.
“Quando sono arrivate le forze di sicurezza e hanno cominciato a fare fuoco verso il punto in cui ci trovavamo, sono svenuta per la paura. I ribelli a quel punto mi hanno trascinata mentre fuggivano verso il loro accampamento”.
L’ex ostaggio racconta inoltre di aver ricevuto l’ordine di sgozzare con un coltello un uomo che apparteneva a una milizia privata e che era stato catturato da Boko haram.
“Tremavo, inorridita, e non sono riuscita a farlo. La moglie del capo dell’accampamento a quel punto ha preso il coltello e l’ha ucciso”.
All’inizio dell’anno si sono verificati una serie di attentati suicidi commessi da donne, e alcuni osservatori si erano chiesti se queste potessero essere degli ostaggi di Boko haram.
Finora, tuttavia, non ci sono prove del fatto che le donne kamikaze fossero degli ostaggi e non delle combattenti volontarie.
Nel mese di luglio, una ragazzina di 10 anni è stata arrestata nello stato del Katsina, nel nordovest della Nigeria, con una cintura esplosiva attorno alla vita.
Matrimoni forzati e conversione all’islam
Tra l’aprile del 2013 e l’aprile del 2014, Hrw ha ascoltato i racconti di trenta donne e ragazze, tra cui dodici delle 57 liceali di Chibok che sono riuscite a sfuggire ai loro rapitori.
Le donne, che hanno trascorso in mano ai loro rapitori un periodo variabile tra i due giorni e i tre mesi, hanno raccontato di essere state portate in otto diversi accampamenti nella foresta di Sambisa, nello stato del Borno, e tra le montagne di Gwoza, frontiera naturale tra Nigeria e Cameroun.
Secondo Hrw, più di 500 donne o ragazzine sono state rapite dall’inizio dell’insurrezione nel 2009, una stima al ribasso se confrontata con altre cifre pubblicate altrove.
Gli ex ostaggi raccontano di aver convissuto con bambine e donne, ma non possono dire con sicurezza se si trattava di persone rapite.
Una delle ragazze rapite a Chibok racconta di essere stata costretta a cucinare per altre donne che avevano diritto a un trattamento di favore “grazie alla loro bellezza”.
Altre testimonianze, più crude, parlano di stupri e violenze fisiche. Una donna racconta di essere stata minacciata di morte e che le era stata messa una corda attorno al collo finché non ha accettato di convertirsi all’islam.
Un’altra ragazzina di 15 anni racconta che, quando si è opposta al matrimonio dicendo di essere troppo giovane, uno dei comandanti le ha risposto che sua figlia di cinque anni si era sposata l’anno prima.
Il rapporto denuncia come le donne, una volta liberate, siano abbandonate a se stesse, con gravi traumi psicologici, senza alcuna forma di sostegno o di protezione da parte delle autorità nigeriane, e vivano nel terrore di poter essere rapite di nuovo, in una regione che subisce quotidianamente attacchi da parte del gruppo islamista.
Phil Hazlewood, Afp
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
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