Un manifestante salta sopra una barricata durante una protesta a Bujumbura, il 28 aprile 2015. (Thomas Mukoya, Reuters/Contrasto)

Sono riprese per il terzo giorno di seguito le proteste in Burundi contro la candidatura per un terzo mandato del presidente Pierre Nkurunziza. Nelle strade della capitale Bujumbura sono stati schierati esercito e polizia, mentre i manifestanti hanno costruito barricate. Si tratta dei disordini maggiori dalla fine della guerra civile nel 2006. Secondo la Croce rossa sono morte almeno sei persone.

La storia postcoloniale del Burundi, un piccolo paese dei Grandi Laghi, è segnata da una lunga guerra civile e da violenze tra diverse etnie. Ecco una cronologia della storia e dei conflitti degli ultimi decenni nel paese.

  • Nei primi anni dopo l’indipendenza, ottenuta nel 1962, il potere è in mano all’etnia dei tutsi, che rappresentano il 14 per cento della popolazione. Gli hutu sono l’85 per cento della popolazione (10,5 milioni di abitanti nel 2013).
  • Nel 1973 una sommossa degli hutu contro i tutsi innesca una rappresaglia che provoca 200mila morti.
  • Nel 1976 un colpo di stato porta al potere Jean-Baptiste Bagaza, che nel 1987 viene rovesciato da Pierre Buyoya. Sono entrambi tutsi.
  • L’assassinio del primo presidente hutu, Melchior Ndadaye, nell’ottobre del 1993, in un tentativo di colpo di stato fomentato da militari tutsi, è seguito da nuovi massacri. Scoppia la guerra civile tra l’esercito, guidato dall’etnia tutsi, e i ribelli hutu.
  • Il successore di Ndadaye, Cyprien Ntaryamira, viene ucciso nell’aprile del 1994.
  • Nel luglio del 1996 un colpo di stato riporta al potere Pierre Buyoya, che avvia i negoziati con l’opposizione e l’esercito. Nel 2000 viene firmato un accordo di pace ad Arusha, in Tanzania, ma i due principali movimenti ribelli si rifiutano di firmare.
  • Il paese si dota di una costituzione che stabilisce delle quote tra le etnie all’interno delle istituzioni politiche, amministrative e militari. Il 19 agosto 2005 l’ex capo ribelle hutu, Pierre Nkurunziza, viene eletto presidente dal parlamento. È l’unico candidato in questo primo scrutinio dal 1993. Il suo partito, il Consiglio nazionale per la difesa della democrazia-Forze per la difesa della democrazia (Cndd-Fdd), era il principale gruppo ribelle e aveva deposto le armi alla fine del 2003.
  • Nel 2006, il governo e le Forze nazionali di liberazione (Fnl) firmano un cessate il fuoco. La guerra civile, durata dal 1993 al 2006, ha fatto circa 300mila morti, in gran parte civili.
  • Le tensioni tra l’esercito e le Fnl continuano e tra aprile e maggio del 2008 gli scontri provocano almeno cento vittime. A maggio le due parti firmano un nuovo cessate il fuoco.
  • Il 28 giugno 2010 Nkurunziza viene rieletto in un voto boicottato dall’opposizione, che denuncia frodi. Il voto è seguito da tensioni e violenze. Il governo è accusato di reprimere la libertà d’informazione e politica.
  • Nel 2014 la crisi politica si acuisce. Il 5 febbraio tutti i ministri del principale partito tutsi lasciano il governo, dominato dal Cndd-Fdd, in conflitto con il presidente Nkurunziza, accusato di reprimere il dissenso. A marzo diversi sostenitori dell’opposizione sono condannati all’ergastolo per avere partecipato a una manifestazione illegale.
  • Il 15 aprile 2015 l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani avverte del pericolo di “violenze e intimidazioni” in vista delle elezioni comunali, legislative e presidenziali previste per maggio e giugno.
  • A metà aprile cominciano le manifestazioni dell’opposizione e della società civile contro la probabile candidatura del presidente Pierre Nkurunziza per un terzo mandato. L’articolo 96 della costituzione prevede che il capo di stato sia eletto a suffragio universale diretto “per un mandato di cinque anni rinnovabile una volta”.
  • Il 25 aprile il Cndd-Fdd designa Nkurunziza come candidato alle elezioni del 26 giugno. L’opposizione e la società civile convocano manifestazioni pacifiche, nonostante il divieto del governo. I manifestanti si scontrano con la polizia e con l’ala giovanile del Cndd-Fdd, chiamata Imbonerakure, definita “milizia” dalle Nazioni Unite. Le proteste continuano i due giorni successivi. La principale radio indipendente del paese, Radio publique africaine (Rpa), viene chiusa e Pierre-Claver Mbonimpa, attivista per i diritti umani e figura di spicco della società civile, viene arrestato e poi scarcerato.

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