Lunedì 5 ottobre gli Stati Uniti, il Giappone e altri dieci paesi che affacciano sul Pacifico hanno raggiunto un’intesa sul più grande trattato commerciale internazionale firmato negli ultimi due decenni, che riguarderà una quantità di scambi pari al 40 per cento dell’economia mondiale. Ecco le sette cose che vale la pena sapere sulla Trans Pacific partnership (Tpp).
1. Il Tpp ha un valore tanto commerciale quanto geopolitico
Spesso chiamato la “spina dorsale” della “svolta” asiatica del presidente statunitense Barack Obama, l’obiettivo di Stati Uniti e Giappone è superare la Cina, che non è coinvolta nel Tpp, e creare un’area economica sul Pacifico capace di creare un contrappeso al ruolo economico di Pechino sulla regione. Il trattato si occupa anche della creazione delle regole dell’economia del ventunesimo secolo, per tutto quanto va dai flussi internazionali di dati al modo in cui alle aziende di proprietà statale verrà permesso di competere a livello internazionale.
“Possiamo promuovere la crescita attraverso scambi commerciali che rispettino standard più elevati”, ha detto Obama la settimana scorsa all’assemblea generale delle Nazioni Unite. “Ed è quello che stiamo facendo attraverso il Partenariato transpacifico, un accordo commerciale che riguarda quasi il 40 per cento dell’economia globale, un accordo che aprirà nuovi mercati, proteggendo i diritti dei lavoratori e proteggendo l’ambiente con uno sviluppo sostenibile”.
2. La Cina non ne fa parte, anche se prima o poi potrebbe essere inclusa
Nonostante in passato il Tpp sia stato considerato una mossa degli Stati Uniti per arginare la Cina, la posizione di Washington si è ammorbidita negli ultimi anni. La Cina ha affermato che sta osservando con attenzione lo sviluppo del Tpp mentre è impegnata in altri negoziati commerciali concorrenti. Molte fonti del mondo degli affari statunitense ritengono che la grande speranza del trattato stia proprio nell’apertura ad altri paesi, in particolare la Cina.
Attualmente sono coinvolti Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti e Vietnam. Ma sono già pronte all’adesione anche altre economie asiatiche, come Corea del Sud, Taiwan e Filippine, e latinoamericane, come la Colombia.
3. Nel Tpp c’è anche un accordo di libero scambio tra due delle tre principali economie mondiali
Stati Uniti e Giappone non hanno mai stretto un accordo commerciale bilaterale. Ma quando è entrato nei negoziati per il Tpp nel 2013, il Giappone ha avviato delle trattative separate per alcuni settori specifici come il commercio di automobili, riso e carne di manzo e di maiale. Il risultato sarebbe, di fatto, un accordo di scambio tra due delle tre principali potenze economiche mondiali, e con il passare del tempo potrebbe portare all’eliminazione delle barriere commerciali tra i due paesi.
Un’altra probabile conseguenza sarà l’ulteriore integrazione tra l’economia e le filiere produttive del Giappone e quelle del Nordamerica. Uno degli ultimi nodi della discussione sono state le regole sulle quote minime di produzione locale di automobili e componenti automobilistici. La questione oppone i fabbricanti di componenti canadesi e messicani – che hanno prosperato grazie all’ormai ventennale Accordo nordamericano per il libero scambio (Nafta) – ai produttori automobilistici giapponesi, che nonostante un’importante presenza in Nordamerica hanno ancora filiere produttive in paesi esterni al Tpp, come la Cina e la Thailandia.
4. L’accordo potrebbe essere cruciale per il primo ministro giapponese Shinzō Abe
Per condurre in porto il Tpp, Abe ha dovuto coinvolgere alcune potenti figure della politica giapponese, inclusa la lobby agricola. Ma ha ripetutamente sostenuto che il parteneriato aiuterebbe il Giappone a fare riforme strutturali fondamentali, necessarie per rilanciare la crescita economica.
Abe ha bisogno di questo accordo. Il tasso di crescita del prodotto interno lordo giapponese sta rallentando. Al ritmo tenuto nel secondo trimestre del 2015 raggiungerebbe l’1,2 per cento all’anno. I dati inoltre suggeriscono che il terzo trimestre non sarà molto migliore e che farà scivolare il Giappone in una recessione tecnica.
5. Il Tpp è contestato in molti dei paesi firmatari
In Canada è in corso la campagna elettorale per il rinnovo del parlamento federale e i negoziati relativi al Tpp sono stati uno dei principali elementi del dibattito. I sondaggi vedono a pari merito i tre partiti maggiori (conservatori, liberali e socialdemocratici), e il socialdemocratico Tom Mulcair, leader del Nuovo partito democratico (Ndp), ha promesso di uscire dal Tpp se il suo partito vincerà le elezioni del 19 ottobre . “Quando formeremo il governo, l’Ndp non sarà vincolato a questo accordo segreto negoziato dal [primo ministro Stephen] Harper”, ha dichiarato.
Anche negli Stati Uniti, in Australia e in altri paesi il Tpp è stato contestato. In particolare è stata criticata la clausola che permette alle aziende straniere di mettere in discussione le decisioni dei governi chiedendo il giudizio di commissioni di arbitrato internazionale. In Australia la questione è particolarmente delicata perché il gigante del tabacco Philip Morris ha chiesto un arbitrato internazionale per bloccare un’iniziativa di Canberra che impone di cancellare dai pacchetti di sigarette i marchi dei produttori. La Philip Morris sostiene che la decisione del governo australiano viola un accordo commerciale bilaterale tra Canberra e Hong Kong, dove ha sede la filiale asiatica della multinazionale. Ma questa non è l’unica controversia del genere.
6. Il Tpp sta semplicemente flirtando con la questione della manipolazione valutaria…
Tra le questioni che più hanno suscitato polemiche negli Stati Uniti c’è quella delle valute e delle svalutazioni competitive.
Diffidenti nei confronti dello yen debole e della concorrenza della Toyota e di altri costruttori, l’industria automobilistica statunitense e i suoi sostenitori al congresso hanno fatto pressioni affinché il Tpp includesse il divieto di manipolazione valutaria.
È improbabile che tale divieto venga formalmente incluso. Ma secondo fonti vicine ai negoziati, i ministri delle finanze e i governatori delle banche centrale dei paesi del Tpp si sono messi d’accordo su un’intesa parallela che li obbligherebbe a non effettuare svalutazioni competitive per aiutare gli esportatori del proprio paese.
Appartengono tutti all’Fmi e molti al G20, due organizzazioni dotate di regole proprie sulla manipolazione valutaria. Ma persone vicine ai negoziati sostengono che verranno stabiliti standard più elevati e che verranno previste disposizioni per ottenere consultazioni distinte e regolari in materia.
Nessuno dei paesi del Tpp, tuttavia, è disposto ad autorizzare il fatto che tali impegni vengano fatti rispettare attraverso sanzioni commerciali, le quali invece sono una delle principali richieste dell’industria automobilistica e dei suoi sostenitori.
7. Il Tpp creerebbe nuovi standard lavorativi e ambientali all’interno degli accordi commerciali
È dal 2007 che agli Stati Uniti viene richiesto di prevedere le discussioni relative agli standard ambientali e lavorativi nei propri negoziati commerciali. Ma il Tpp, per la prima volta, renderebbe tali impegni obbligatori e potenzialmente soggetti a sanzioni commerciali in caso di mancato rispetto.
Molti attivisti ambientali restano scettici, ma gli Stati Uniti sostengono che il Tpp contribuirebbe a ridurre il traffico di specie in via d’estinzione o a contrastare altri problemi come la pesca eccessiva nel Pacifico. Se i paesi non rispettassero i loro impegni, Washington userebbe l’accordo per richiamarli all’ordine.
Anche le nuove disposizioni del Tpp relative al lavoro imporrebbero un grande cambiamento delle pratiche in paesi quali Malesia e Vietnam. Per poter essere coinvolti nell’accordo, questi paesi dovrebbero dimostrare di rispettare gli standard dell’Organizzazione mondiale del lavoro.
Ai paesi membri del Tpp potrebbe essere richiesto di introdurre un salario minimo. Dovrebbero inoltre introdurre divieti per le pratiche che oggi sono all’origine del lavoro forzato, come il sequestro, da parte dei datori di lavoro, del passaporto dei lavoratori migranti o l’imposizione di spese straordinarie di assunzione che possono provocare l’indebitamento dei lavoratori. In Vietnam, il governo dovrà per esempio permettere ai lavoratori una maggiore libertà di organizzazione sindacale, oltre che autorizzare la creazione di una federazione sindacale alternativa all’unica attualmente esistente.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato sul sito del Financial Times con il titolo “TPP trade deal: seven things you need to know”, il 5 ottobre 2015.
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