Dopo tre anni e mezzo di difficili negoziati all’Avana, il governo colombiano e la guerriglia delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) hanno raggiunto un accordo storico che definisce le modalità della fine del conflitto che li contrappone dal 1964. Si tratta di un ulteriore passo, decisivo, verso la pace.
L’accordo, rivelato il 22 giugno e firmato il 23 dalle due parti in presenza di diversi capi di stato e del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, è un importante passo in avanti sulle condizioni di chiusura definitiva delle ostilità. In mezzo secolo il conflitto ha fatto almeno 260mila morti, ai quali bisogna aggiungere i 45mila scomparsi, e ha provocato lo spostamento forzato di quasi sette milioni di persone.
Come spiega il Washington Post, questo significa che gli avversari sono riusciti a mettersi d’accordo su uno degli aspetti più delicati delle trattative, cioè sulla smobilitazione di circa settemila combattenti delle Farc, e sulla loro successiva integrazione nella società civile sotto la protezione delle forze di sicurezza colombiane, loro nemiche storiche.
Rimane però un’incognita importante, come accoglierà il popolo colombiano il risultato di queste trattative? Probabilmente ci sarà una forte resistenza da parte della frangia più conservatrice, guidata dall’ex presidente Álvaro Uribe, rimasto in carica dal 2002 al 2010.
Un processo al contrario
Questo accordo rappresenta un approccio diplomatico innovativo, in quanto crea il contesto della pace prima di mettere fine alla guerra. Una sorta di “processo al contrario” nel quale il giornale americano vede un modello applicabile ad altri conflitti.
Il consigliere del governo colombiano Joaquín Villalobos si dice soddisfatto della caduta del mito della “pace impossibile”. Per lui i due schieramenti hanno ormai tutto l’interesse a impegnarsi nelle loro missioni rispettive: “permettere lo sviluppo della Colombia rurale, profonda e selvaggia” per lo Stato; “deporre le armi e passare alla lotta politica” per le Farc.
Professore di diritto ed editorialista per El Tiempo, anche Abel Veiga Copo crede che dopo “50 anni di divisione sociale, umana e politica, la pace sia ormai necessaria”. Ma questa potrà arrivare solo se passerà attraverso “la giustizia, il perdono e la riconciliazione”, condizioni necessarie alla sua realizzazione. Il paese ne sarà capace?
(Traduzione di Andrea De Ritis)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it