La battaglia di Aleppo, la più importante dall’inizio della guerra in Siria del 2011, è cruciale sia per i ribelli sia per il regime, ma rischia di trasformarsi in una guerra di logoramento, nella quale difficilmente riuscirà a prevalere una delle due parti.

I due schieramenti hanno radunato le loro truppe e cercheranno d’impadronirsi a tutti i costi della seconda città del paese, che dal 2012 è divisa tra quartieri ovest, controllati dal regime, e quartieri est, nelle mani dei ribelli.

Le principali forze che s’oppongono al regime sono quelle del Jaish al fatah, che nel 2015 era riuscito a scacciare le truppe governative dal grosso della provincia di Idlib, nel nordest.

Jaish al fatah è una coalizione che riunisce una decina di fazioni jihadiste e ribelli sostenute dall’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia, tra cui si trovano la potente organizzazione jihadista Fateh al sham (ex Fronte al nusra) che si è ormai svincolata da Al Qaeda e i ribelli salafiti di Ahrar al sham. Secondo alcuni esperti militari, si tratterebbe di trenta-quarantamila uomini ben addestrati e molto motivati, e circa diecimila si troverebbero ad Aleppo. Tra loro ci sono anche alcune migliaia di jihadisti venuti dall’estero. Jaish al fatah dispone di carri armati, veicoli di trasporto truppe e artiglieria, perlopiù sottratti all’esercito siriano, ma anche di missili anticarro di tipo tow (missile guidato via tubo) di produzione statunitense.

Secondo l’esperto Charles Lister quest’alleanza ha ricevuto “per la prima volta” durante la battaglia d’Aleppo alcune armi di produzione statunitense riservate fino ad allora alle forze che combattevano contro il gruppo jihadista Stato islamico (Is). Ma le loro armi più efficaci sono le autobombe e gli attacchi suicidi.

La presa di Aleppo permetterebbe ad Assad di trovarsi in una posizione di forza nei negoziati internazionali

Per quanto riguarda il regime, la battaglia la conducono l’esercito e i miliziani delle Forze di difesa nazionale (Fdn), oltre che combattenti iraniani, iracheni e l’Hezbollah libanese. Secondo Almasdarnews, un sito filogovernativo generalmente ben informato, le forze dell’esercito di Assad hanno fatto arrivare almeno cento carri armati e quattrocento veicoli di trasporto truppe ad Aleppo, per un totale di uomini sul terreno compreso fra trentamila e quarantamila.

Però queste forze non hanno tutte lo stesso valore militare: tra loro si trovano soldati agguerriti ma anche soldati di leva che vogliono salvare la pelle. Secondo il sito l’esercito dispone di truppe d’assalto composte da svariate migliaia di uomini, totalmente devoti al colonnello Suheil Al Hassan (soprannominato la tigre), dalle forze della guardia repubblicana, dalle forze speciali e dai corpi scelti di Hezbollah (Radwan).

Le truppe di Bashar al Assad possono contare su un’enorme potenza di fuoco, con i loro carri armati, la loro artiglieria e soprattutto la loro aviazione, una risorsa fondamentale nei confronti dei ribelli, che invece non ne possiedono alcuna. Senza dimenticare il sostegno fondamentale dei precisissimi apparecchi russi.

La Bengasi siriana

“Per i ribelli è impossibile abbandonare i loro fratelli in stato d’assedio ad Aleppo”, assicura Fabrice Balanche, geografo specialista della Siria ed esperto del Washington institute. “Aleppo doveva essere la Bengasi siriana, la città dalla quale i ribelli avrebbero fatto capitolare il regime”, spiega Rami Abdel Rahman, direttore dell’Osservatorio siriano dei diritti umani, riferendosi alla seconda città della Libia nella quale era stata annunciata la cattura e la morte del leader Muammar Gheddafi. “Se la dovessero perdere, il territorio che controllano nel nord della Siria si ridurrà”.

Se dovesse conquistare Aleppo est, il regime “si troverà in una dinamica vittoriosa”, sottolinea Balanche. “Riprendere Aleppo permetterebbe di poter circondare i ribelli nella provincia di Idlib. Si tratta di dare una prova di forza nei confronti di tutta la Siria”. Inoltre “la presa di Aleppo permetterebbe ad Assad di trovarsi in una posizione di forza nei negoziati internazionali. L’obiettivo è mettere la nuova amministrazione statunitense di fronte al fatto compiuto a gennaio”, assicura.

“Il regime ha poche truppe. Ha sicuramente sguarnito le sue difese nel sud per andare alla conquista della strada di Castello”, il principale asse di rifornimento dei ribelli ad Aleppo, secondo Yazid Sayegh, uno dei principali esperti del centro Carnegie per il Medio Oriente. “Ma al contempo è impossibile, per le stesse ragioni che valgono per il regime, che l’opposizione possa conquistare tutta Aleppo”, in particolare per la mancanza d’effettivi, ma anche a causa di una “potenza di fuoco ridotta e del fatto che la zona controllata dal governo è molto più popolosa della parte in mano ai ribelli”.

L’obiettivo annunciato dall’opposizione, ovvero la conquista della città, “non è realistico a breve termine, a meno di un improvviso crollo delle difese dell’esercito governativo, il che è poco probabile”, ritiene Thomas Pierret, esperto della Siria.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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