Carnefice o vittima? Dal 6 dicembre Dominic Ongwen, l’ex bambino soldato diventato uno dei comandanti dell’Esercito di resistenza del Signore (Lra), il gruppo ribelle ugandese guidato da Joseph Kony, è sotto processo alla Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja. Ongwen, oggi poco più che quarantenne, deve rispondere di settanta capi d’accusa per crimini di guerra e contro l’umanità per il ruolo centrale che ha svolto nell’Lra. È il più grande numero di reati contestato a un singolo accusato.

La storia personale di Ongwen rende il suo caso unico. Prima di diventare uno dei capi della milizia, lui stesso ne subì la violenza. Fu rapito quando aveva circa dieci anni mentre tornava a casa da scuola, probabilmente fu costretto a sottomettersi a riti iniziatici estremamente cruenti e da allora ha vissuto in un clima di brutalità. L’obiettivo dell’Lra, la cui ideologia mescolava credenze tradizionali africane ed estremismo cristiano, era costruire uno stato fondato sui dieci comandamenti.

Un futuro incerto per la Cpi
Si stima che, da quando fu creata nel 1987 come movimento di rivolta contro il regime di Kampala, la milizia abbia ucciso più di centomila persone e rapito quasi sessantamila bambini, che dovevano servire i progetti del “messia” Kony, aguzzino insensibile e paranoico. I ragazzi erano addestrati per diventare soldati mentre le ragazze erano usate come schiave sessuali. Oggi l’Lra può contare solo su 150 uomini, nascosti in piccoli gruppi nelle foreste dell’Africa centrale.

Tuttavia, all’inizio di questo atteso processo, “le nuvole si addensano sul futuro della Cpi”, osserva il quotidiano ugandese The Independent, ricordando che nelle ultime settimane tre paesi africani (il Sudafrica, il Burundi e il Gambia) hanno annunciato di volersi ritirare dal tribunale, accusato di prendere di mira i leader del continente. Ma in un articolo sul quotidiano Daily Nation George Kegoro, direttore esecutivo della commissione per i diritti umani keniana, sostiene che i rapporti tra i singoli stati africani e la Cpi saranno decisi paese per paese, a seconda delle varie questioni, e non ai vertici dell’Unione africana.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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