Prendiamo l’ipotesi migliore. Se Vladimir Putin ha davvero intenzione, come ha annunciato improvvisamente la sera del 14 marzo, di ordinare la ritirata della “maggior parte” delle forze dislocate in Siria, la speranza di una soluzione diplomatica dopo cinque anni di conflitto diventerebbe realmente concreta.

Lo scenario cambierebbe radicalmente, perché in questo caso il messaggio inviato dal presidente russo a Bashar al Assad sarebbe che il regime di Damasco non può più contare sul suo sostegno per ripristinare lo statu quo ante e che di conseguenza deve negoziare in buona fede per arrivare a un compromesso con l’insurrezione.

L’idea federale

Ma davvero possiamo credere alla sincerità di questo annuncio?

Sicuramente non possiamo fidarci a priori. C’è bisogno che alle parole facciano seguito i fatti, ma una soluzione di questo tipo non è impensabile, per diversi motivi.

Innanzitutto non possiamo dimenticare che a settembre i collaboratori più stretti di Putin hanno dichiarato (come ho scoperto al Cremlino e sottolineato in questa rubrica) che la Russia sarebbe intervenuta in Siria solo per impedire a Damasco di cadere e per mantenere la possibilità di un compromesso riequilibrando le forze in campo, perché non crede in una soluzione militare a questo conflitto.

La violenza degli attacchi russi e il bombardamento di Aleppo avevano smentito queste frasi, ma resta il fatto che quando Bashar al Assad, rimesso in sella da Vladimir Putin, ha espresso l’ambizione di riconquistare tutto il paese, l’ambasciatore russo presso l’Onu lo ha seccamente rimesso al suo posto ricordando che il Cremlino non condivide questa visione.

Se i nuovi negoziati dovessero fallire e s’interrompesse il cessate il fuoco, i russi rischierebbero di impantanarsi in Medio Oriente

Inoltre di recente la diplomazia russa ha avanzato l’idea di una federalizzazione della Siria, chiave per un compromesso politico che permetterebbe, Assad o non Assad, di togliere tutti i poteri al presidente federale e creare cantoni indipendenti in cui ciascuna delle comunità siriane possa plasmare il proprio futuro.

Il solo fatto di paventare questa ipotesi significa prendere posizione in favore del compromesso nel nuovo negoziato che si è aperto il 14 marzo a Ginevra tra il regime e i ribelli.

Infine dobbiamo ricordare che, se i nuovi negoziati dovessero fallire e s’interrompesse il cessate il fuoco sancito il 27 febbraio, i russi rischierebbero di impantanarsi in Medio Oriente. Logicamente parlando, se all’annuncio di ieri seguissero i fatti e il negoziato avesse successo, la Russia potrebbe presentarsi come artefice della pace accrescendo il suo prestigio, la sua influenza e la sua ricchezza.

Tra qualche giorno avremo risposte più chiare. Per il momento l’unica cosa che possiamo fare è incrociate le dita.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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