Il sito indipendente egiziano Mada Masr ha pubblicato un grafico sulla pena di morte in Egitto tra il 2011 e il 2015. In calce al grafico compare una precisazione: “Data la mancanza di trasparenza, molti dati del 2014-2015 si basano sugli articoli pubblicati da Mada Masr e i numeri esatti non possono essere verificati”. Il fatto di non sapere nemmeno quante esecuzioni siano state decise o effettuate dall’inizio del colpo di stato del generale Abdel Fattah al Sisi nel luglio 2013 è quasi più preoccupante dei numeri stessi: il 24 marzo 2014 il tribunale di Minya ha condannato a morte 529 persone in un unico procedimento, altre 683 condanne alla pena capitale sono state decretate il mese successivo, e 180 il 21 giugno 2014. In totale sono più di mille in meno di un anno.
Le condanne sono spesso motivate da accuse di spionaggio per conto dell’Iran, di Hamas o del Qatar, e coinvolgono nella stragrande maggioranza dei casi gli affiliati ai Fratelli musulmani. La guida suprema Mohamed Badie ha ricevuto la sua quarta condanna a morte lo scorso marzo per “incitazione alla violenza e al caos dopo i sit-in di piazza Al Nahda e Rabia al Adawiyya” dell’agosto del 2013, mentre l’ex presidente Mohamed Morsi, destituito da Al Sisi nonostante sia stato eletto democraticamente alle prime elezioni dopo la rivoluzione, ha ricevuto il 17 maggio la sua prima condanna a morte per “collaborazione con il nemico ed evasione”. La condanna si riferisce all’evasione di massa di molti fratelli musulmani dalla prigione di Wadi al Natrun durante la rivolta contro il regime di Hosni Mubarak del gennaio 2011.
Lo stesso giorno dell’annuncio della condanna di Morsi, sei ragazzi tra i 17 e i 25 anni sono stati impiccati con l’accusa di appartenere al gruppo Provincia del Sinai (l’ex Ansar Beit al Maqdis), responsabile di attacchi contro le forze militari nel marzo del 2014. Tre di loro, secondo una denuncia di Human rights watch, erano molto probabilmente in prigione quando sono accaduti i fatti di cui sono stati accusati.
Sempre nel corso della stessa giornata sono state condannate a morte altre 120 persone, tra cui Emad Shahin, professore dell’Università americana del Cairo, attualmente visiting professor alla Georgetown University e curatore dell’Oxford Encyclopedia of Islam and Politics. Shahin, che respinge le accuse di spionaggio per conto di Hamas e di altre forze straniere, commenta così la sentenza: “Il regime militare attacca gli oppositori pacifici, giovani manifestanti, studenti, giornalisti e professori universitari. Cerca in questo modo di ricostituire uno stato di polizia e intimidire l’opposizione. Da due anni l’esercito e le agenzie di sicurezza hanno pianificato una controrivoluzione ai danni di coloro che hanno partecipato alla rivoluzione del 25 gennaio, contrastando così le aspirazioni degli egiziani a costruire una società libera e democratica. Le istituzioni che dovrebbero proteggere i cittadini li stanno invece opprimendo”.
Nel giorno di queste condanne multiple la stampa egiziana filogovernativa si preoccupava invece della riunione del sorridente presidente Al Sisi con i rappresentanti di un fondo d’investimento del Kuwait per aumentare la produzione di energia elettrica del paese, come si legge sulla prima pagina di Al Ahram. Un altrettanto sorridente ambasciatore britannico, John Casson, è citato in prima pagina mentre si congratula con il presidente per la sua “politica incentrata sulla lotta al terrorismo”. Il quotidiano Al Watan, invece, ha parlato dei “legami tra il gruppo Stato islamico e i Fratelli musulmani” e rivelato i loro piani terroristici per vendicarsi attaccando “i giudici, l’esercito e la polizia dopo l’esecuzione dei sei terroristi”.
A nome dell’Unione europea, Federica Mogherini ha definito “inumana e crudele” l’esecuzione dei sei giovani, mentre gli Stati Uniti hanno espresso la loro “profonda preoccupazione” per le condanne. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha criticato l’ipocrisia di queste prese di posizione: “L’occidente prova ad abolire la pena di morte nel mondo e poi assiste alle continue condanne a morte in Egitto senza fare nulla”, ha dichiarato all’agenzia di stampa turca.
L’Osservatorio egiziano per i diritti e le libertà, nel suo rapporto di aprile, rende noto che in meno di un anno 1.923 persone, arrestate per essersi opposte al colpo di stato di Al Sisi, sono state condannate a un totale di 15mila anni di prigione.
Sul loro sito ufficiale, i Fratelli musulmani, attraverso le parole del portavoce Mohamed Montasser, esprimono il loro sdegno e chiamano alla vendetta: “Non ci sono più dichiarazioni o comunicati stampa che valgano davanti a questa giunta militare di traditori e di cleptocrati corrotti. Invitiamo tutti i rivoluzionari egiziani a unirsi a noi contro l’ingiustizia e la repressione su tutte le piazze del paese. Il sangue puro dei giovani ragazzi innocenti uccisi sarà vendicato. La rivoluzione non sarà conclusa fino a quando non saranno sterminati tutti gli oppressori. Gloria alla rivoluzione”.
La condanna a morte di venti persone e dell’ex presidente Morsi dovrà ricevere il nulla osta formale del grande mufti d’Egitto il 2 giugno. Se la condanna dovesse essere eseguita, si può temere una nuova escalation di violenza in Egitto.
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