Chiedere a cinque milioni di musulmani francesi o a 1,6 miliardi di musulmani nel mondo di condannare gli attentati compiuti da otto assassini è ragionevole?

Pensare che qualsiasi musulmano potrebbe avere simpatia con il terrorismo solo perché è musulmano è chiaramente una forma di razzismo. Di fatto, a livello teorico, equiparare un singolo con un intero gruppo è discriminazione, considerarlo responsabile per quello che fa o ha fatto il gruppo è becero razzismo.

Inoltre gli attentatori che hanno colpito la Francia, prima di essere musulmani, erano il prodotto della società francese. Nati in Francia, avevano un rapporto forte con la patria: Amedy Coulibaly, uno dei responsabili degli attentati di Parigi del gennaio 2015, aveva scritto al presidente della repubblica per chiedere un miglioramento della situazione nelle prigioni; Mohamed Merah, autore degli attacchi a Tolosa del marzo 2012, e Hasna Ait Boulahcen, la ragazza morta nel blitz della polizia a Saint Denis il 18 novembre, volevano entrare nell’esercito francese. Entrambi si erano radicalizzati da poco: Hasna Ait Boulahcen era diventata praticante solo qualche settimana fa. L’influenza dell’islam sui loro comportamenti dovrebbe essere quindi, a rigor di logica, molto ridotta.

In un’intervista al canale televisivo statunitense Mnsbc, Dalia Mogahed, consulente per i rapporti con il mondo musulmano del presidente Obama, si chiede esplicitamente se sia giusto chiedere ai musulmani di condannare gli attacchi terroristici:

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Giustificare l’uccisione di civili è, per me , la cosa più mostruosa che si possa fare. Ed essere sospettati di fare qualcosa di così mostruoso, semplicemente a causa della propria fede, mi sembra molto ingiusto. La maggior parte degli attacchi terroristici compiuti negli Stati Uniti, secondo l’Fbi, sono opera di bianchi , cristiani di sesso maschile. Ma davanti a simili eventi noi non sospettiamo le persone che condividono la loro fede e le loro origini di giustificare questi atti. Partiamo dal presupposto che queste cose suscitino il loro sdegno, così come accade a tutti gli altri. Questa stessa presunzione di innocenza deve valere anche per i musulmani.

Ogni attentato genera nuove incomprensioni, atti di intolleranza e piccole violenze quotidiane verso i musulmani. Secondo un rapporto pubblicato dal Collectif contre l’islamophopie en France le aggressioni fisiche contro i musulmani in Francia sono aumentate del cinquecento per cento nei sei mesi dopo Charlie Hebdo, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Gli attacchi islamofobici sono invece aumentati del trecento per cento nel Regno Unito e sono in maggioranza opera di uomini contro donne velate.

In questi ultimi mesi e settimane il mondo politico francese – con buone dosi di paternalismo – ha chiesto ripetutamente ai musulmani di schierarsi: un ex alto funzionario francese, che scrive con lo pseudonimo Camille Desmoulins, ha fatto scalpore con il suo libro L’islam au feu rouge, in cui accusa i musulmani di “tirarsi indietro”.

Anche il leader della destra francese più moderata e critica verso Sarkozy, Alain Juppé, ha chiesto ai musulmani di esprimersi:

Per me la laicità è la libertà di tutti i francesi di praticare la religione che preferiscono, compresa quella musulmana. A una condizione, però: che i francesi musulmani dicano chiaramente che non hanno nulla a che vedere con questo fanatismo e questa barbarie.

Gli ha risposto, con un editoriale su Libération, Hatem Nafti, un musulmano di origine tunisina, autore di Tunisie, dessine-moi une révolution:

Scusate se m’identifico di più con le vittime che con i boia. Trovo ignobile che mi venga ingiunto di condannare delle persone che hanno perso ogni umanità. È un problema loro se agiscono in nome dell’islam, non il mio. Non mi sento responsabile degli orribili massacri di Stalin o di Pol Pot, anche se sono di sinistra!

Un articolo di Foreign Affairs, intitolato Laïcité without égalité, punta il dito contro il rifiuto della Francia di vedere i propri cittadini musulmani, rifiutando addirittura di contarli in nome dell’uguaglianza (le legge francese vieta di censire la popolazione su base religiosa). I musulmani francesi sarebbero tra i quattro e i sei milioni, secondo le stime del ministero dell’interno francese, due milioni secondo l’Istituto nazionale di studi demografici (Ined), mentre i cattolici sarebbero 11,5 milioni.

In nome dell’islam

In realtà il gruppo Stato islamico (Is) uccide soprattutto musulmani in Medio Oriente (e i rifugiati siriani, che siano cristiani o musulmani, fuggono proprio da questa violenza) e considera i musulmani che vivono fuori del califfato colpevoli quanto i “crociati” (come afferma Dabiq, la rivista patinata del gruppo scritta in un inglese impeccabile). Se la richiesta ai musulmani di dissociarsi dalla sua violenza non ha quindi molto senso in Medio Oriente, è forse più pertinente in Europa, dove la maggioranza della popolazione non è musulmana? Il fatto che “i terroristi uccidono nel nome dell’islam” potrebbe giustificare un movimento #notinmyname?

Decenni d’incomprensioni sull’islam in Europa potrebbero essere risolti proprio ora, in questo momento di crisi, dice il filosofo Pierre Manent, direttore dell’École des hautes études en sciences sociales di Parigi: la laicità accettata dai cattolici, soprattutto dopo il concilio Vaticano II, ha fatto credere per quaranta o cinquant’anni che la religione fosse definitivamente sparita dalla scena politica e sociale e fosse ormai relegata alla sfera privata. Ma l’arrivo dell’islam ha cambiato la situazione.

Per Manent, è arrivato il momento di riconoscere che si può essere musulmani in mille modi diversi, come vale per tutte le religioni: “Dobbiamo fare in modo che le condizioni politiche permettano a questa diversità di opinioni dei musulmani di emergere. Fino a quando non bisogna definirsi pubblicamente, non si sa davvero quello che si vuole”.

In effetti, questo potrebbe essere il momento storico giusto per dare voce a cittadini considerati di seconda classe perché musulmani e scrivere un nuovo contratto sociale. La crisi acuta che attraversiamo potrebbe rivelarsi un’opportunità per ridiscutere con i musulmani il patto repubblicano della laicità, negoziato un secolo fa – con grande violenza – con la chiesa cattolica.

La richiesta ai musulmani di condannare gli attentati sta facendo emergere una pluralità di voci

In questo senso, la richiesta rivolta ai musulmani di condannare gli attentati di Parigi sta contribuendo a fare intravedere l’eterogeneità di un gruppo troppo spesso considerato monolitico e a fare emergere una pluralità di voci che hanno un punto in comune forte: l’attaccamento alla repubblica.

Su Facebook un blogger musulmano di Lione, Chronic 2 Bass, ha registrato quattro milioni di “mi piace” con il suo appello: “Sta a noi musulmani cacciare questi figli di puttana che vanno nelle nostre stesse moschee”.

Un altro gruppo, #Noussommesunis (#Siamouniti), ammette più pacatamente che, come grande parte della popolazione francese, non ha capito “se i terroristi non abbiano capito i versetti del Corano, oppure se siamo noi a non capire loro”. Ma una cosa è certa: “Se volevano indebolire la Francia, hanno invece rinforzato il cuore dei francesi” e il loro bisogno di “fratellanza”. “Uno per tutti, e tutti per l’umanità”, concludono, citando il vecchio motto dei tre moschettieri.

Il 23 novembre è arrivato infine l’intervento dell’intellettuale francomagrebino Mohamed Chirani sulla tv a grande diffusione iTélé: parlando sia in arabo sia in francese, Chirani ha inveito contro “i bastardi identitari” che hanno tradito la Francia e ucciso dei francesi.

“Sappiate che non riuscirete a seminare la discordia in Francia e a sprofondarci nella guerra civile, perché noi resteremo uniti”, ha detto. “E sappiate che vi combatteremo con il Corano, sarà il nostro jihad spirituale e civile contro di voi”.

Il Corano in una mano e il passaporto francese nell’altra, ha poi baciato il suo documento e concluso con enfasi: “E siccome amiamo Dio e il suo profeta, amiamo l’umanità e amiamo la Francia. Viva la Francia, viva la repubblica”.

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