L’8 luglio 1996, quando uscì il video di Wannabe delle Spice Girls, il mondo del pop era in uno stato di sospensione. Il fenomeno della pirateria stava iniziando a farsi sentire ma le major discografiche non sospettavano che di lì a qualche anno il loro mondo si sarebbe sbriciolato. Era l’anno della Macarena e di Wonderwall degli Oasis. Madonna era in congedo di maternità e Céline Dion si preparava a salire sul Titanic di Leonardo DiCaprio. Era anche l’anno dello scioglimento dei Take That, e per un momento qualcuno ha pensato che per le boyband fosse finita. L’industria musicale prosperava, grazie ai margini stellari sulla vendita dei cd, ma le zolle tettoniche della pop music stavano impercettibilmente spostandosi sotto i piedi di tutti.
Wannabe è stata l’esplosione di un vulcano, un terremoto. Le Spice Girls erano un prodotto creato a tavolino dalla Virgin: cinque ragazze scelte con criteri, lo avremmo capito dopo, più da reality tv che da industria musicale. Aspetto ordinario, look da struscio e milkshake del sabato pomeriggio, talento minimo ma una carica di finta autenticità di cui, evidentemente, il mercato aveva un gran bisogno. Più che cinque Barbie, le Spice Girls erano cinque antesignane delle Bratz, le bamboline tamarre, tutte testona e scarpe con la zeppa, lanciate nel 2001. Erano britanniche, sguaiate e orgogliosamente cheap.
Mel C, col pantalone della tuta extra large e il top sportivo, sembrava uscita dalle periferie di Little Britain; Emma era un incrocio tra un’infermiera di Benny Hill e una bionda che barcolla intorno alla borsetta il sabato sera; Geri sembrava sempre reduce da un party aziendale in cui colleghi “troppo simpatici” hanno alzato il gomito e Mel B, con il suo pesante accento di Leeds, era quanto di più lontano dalle dive dell’r’n’b statunitense a cui cercava di somigliare. E poi c’era Victoria, la futura signora Beckham, che già dal quel primo video non si capiva bene cosa facesse.
Il video di Wannabe è l’ennesima variazione sul tema giovani scapestrati contro vecchi imbalsamati. È quasi una parodia a cartoni animati della scena di Hair in cui Berger sale sul tavolo imbandito di una festa di ricconi e, cantando il suo inno hippy pauperista I got life, distrugge servizi buoni e scandalizza aristocratiche signore.
Le cinque Spice, scorrazzando per il centro di Londra (Belgravia? Mayfair?) si infilano in quello che sembra un club esclusivo per noiosi ricconi. Scenografia e costumi sono ridotti al minimo (quattro teli di raso e un sacco di candelabri) e anche le comparse sono zombi privi di direzione. Tanta orgogliosa esibizione di mediocrità e di amatorialità, con il senno di poi, ha un sapore vagamente punk. E queste chi sono? Cosa vogliono? Non sanno cantare! Guarda, quella sta per cadere! E poi cosa diavolo vuol dire “zigazig ah”? Solo che, come succede per gli incidenti d’auto, nessuno è riuscito a staccare gli occhi da quel video. Nel giro di poche settimane le Spice Girls sono diventate un’ossessione globale: con sette milioni di copie vendute in tutto il mondo in un anno, Wannabe è tutt’ora il singolo di maggior successo di una girlband.
Le Spice Girls sono l’ultimo colpo di coda di un’industria discografica che si sarebbe trovata a raccogliere vincitori di insulsi talent show
Si è parlato di messaggio femminista per Wannabe che, in effetti, è un inno all’amicizia e alla solidarietà tra ragazze. La verità è che il “girl power” di cui le Spice Girls sono diventate ambasciatrici, alla fine, si riduce al concetto di “le mie amiche sono troppo delle pazze”. E il divertimento tra ragazze, nello Spiceworld, sembra essere una specie di scombiccherato addio al nubilato, tra tacchi rotti, sbronze di liquori dolci e figure di merda in metropolitana.
Il video finisce con le cinque Spice che scappano fuori dalla festa in cui sono imbucate e saltano, da brave figlie del popolo, su un autobus notturno. Quell’autobus le porterà a essere una delle ultime grandi meteore del pop generalista, uno degli ultimi colpi di coda di un’industria discografica che, nel decennio successivo, si sarebbe trovata a raccogliere e smistare vincitori di insulsi talent show televisivi. La finta autenticità delle Spice sarebbe stata sostituita dal finto talento un po’ pettinato dei divi delle gare di canto in tv.
Se solo avessimo saputo che le Spice Girls erano l’ultimo Mars che avremmo mangiato e che il pop del futuro ci avrebbe riservato una gran quantità di insipide barrette energetiche, forse le avremmo amate un po’ di più.
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