Forse a loro non fa nemmeno piacere. Ma da qualche anno i Verdena non sono più un gruppo come gli altri. Dopo l’uscita di Requiem, e soprattutto dopo quella di Wow, sono diventati uno dei più importanti gruppi rock in Italia. Forse il più importante.
Non a caso Endkadenz vol. 1, il nuovo disco della band che esce oggi nei negozi, in questi mesi è stato circondato da un’attesa febbrile, perlomeno tra gli appassionati di musica. Il risultato è all’altezza delle aspettative. Il gruppo ha trovato il punto d’equilibrio tra i loro due album migliori, riportando le chitarre elettriche al centro della loro musica senza perdere lo spirito sognante di Wow. Una cosa a metà strada tra il grunge, il prog italiano e il Lucio Battisti meno canonico.
Dentro Endkadenz vol. 1, registrato come sempre nel quartier generale dei Verdena (un ex pollaio ad Albino, in provincia di Bergamo), ci sono tante belle canzoni: dall’apertura ruvida di Ho una fissa alle atmosfere beatlesiane di Puzzle. Da Contro la ragione, che sembra veramente uscita da Anima latina, alla struggente Inno del perdersi.
Per promuovere il disco i Verdena saranno in tour a febbraio e marzo. Suoneranno a Rimini, Milano, Roma, Bari e non solo. Ad aprire i concerti saranno i Jennifer Gentle.
Abbiamo incontrato a Roma Alberto, cantante e chitarrista del gruppo, e Roberta, bassista, per farci raccontare il nuovo disco.
Da dove nasce il titolo Endkadenz?
Volevamo che il disco avesse un nome legato alle percussioni. Sfogliando un libro, Luca, il nostro batterista, ha trovato questa storia interessante su Mauricio Kagel, un compositore contemporaneo. Nei suoi spartiti, Kagel scriveva sempre lo stesso finale: il timpanista, dopo l’ultimo colpo, doveva buttarsi di testa dentro il timpano, sfondando la pelle del tamburo. E doveva restarci dentro per circa dieci minuti. Questo è l’endkadenz. È l’ultimo guizzo del concerto, il finale con il botto.
Come sono andate le registrazioni dell’album?
Tutti e ventisei i pezzi che abbiamo registrato sono finiti nel disco, che è diviso in due volumi da 59 minuti ciascuno. All’inizio l’idea era di fare un disco solo, registrando tutti i brani e scegliendo i migliori. Poi abbiamo avuto dei ritardi a causa di un problema tecnico con il registratore, e questo ci ha portato a scrivere ancora più canzoni. A quel punto la rosa era enorme e dovevamo farne una specie di best of. Ma alla fine il best of è questo. Ci piaceva tutto e abbiamo tenuto tutto.
Avete usato strumenti nuovi rispetto al passato?
C’è un piano a muro, un piano vero, a differenza di quello elettrico che usavamo in Wow. Abbiamo cercato di metterlo ogni due o tre pezzi. Fin dall’inizio l’idea è stata quella di cercare un nuovo suono. A prima vista magari non sembra, ma è così. Abbiamo cambiato molto le impostazioni sonore della batteria e del basso, e anche il mastering è stato diverso dal solito. Abbiamo cambiato metodo di scrittura, facendo tante cose in cuffia, suonando contemporaneamente in sale diverse.
Quanto è diverso Endkadenz dall’album precedente?
Prosegue la strada battuta da Wow, ma dentro c’è un po’ di Requiem, soprattutto nelle chitarre. Ed è un album ancora più distorto. È un disco in picco.
In che senso?
Nel senso che picca, come quando registri a volume troppo alto e la spia del registratore va in rosso. Anche la voce è diversa. Già in Wow era distorta, qui c’è un fuzz molto evidente nelle parti vocali. La rifaremo così anche dal vivo. Stiamo diventando amanti della distorsione. Per questo il prossimo disco sarà molto pulito.
Un po’ esageri è abbastanza pop per i vostri standard. Per questo l’avete scelto come singolo?
Per noi un brano vale l’altro. Di solito la nostra casa discografica, la Universal, sceglie una rosa di possibili singoli e poi lo decidiamo insieme. Stavolta all’inizio ci hanno proposto alcune canzoni che non ci convincevano del tutto e quindi gli abbiamo chiesto Un po’ esageri. Volevamo una canzone con le chitarre elettriche.
Che lavoro avete fatto sui testi?
Un lavoro grosso, stavolta quasi quanto sulle musiche.
In Puzzle per esempio citate Nevruz, quello di X Factor. Perché?
La canzone fa: “Chiamami Nevruz, raccogli il mio seme”. Quando scriviamo i testi partiamo sempre da una melodia in inglese e poi la mettiamo in italiano. Questo verso all’inizio era una cosa tipo “call me nervous”. Ci serviva una parola che suonasse allo stesso modo. Conosciamo Nevruz. Omid Jazi, che suonava con noi negli anni scorsi, era nel suo gruppo.
Come sarà il nuovo tour?
Porteremo quasi tutto Endkadenz vol. 1, oltre alle cose vecchie ovviamente. Del secondo volume ne faremo giusto una o due. Con noi sul palco ci sarà anche un quarto musicista, che è fondamentale per suonare queste canzoni. Sarà distorto, molto distorto.
L’influenza di Battisti, in particolare quella di Anima latina, sembra molto importante per la vostra musica.
Rimane l’unico disco che ci piace di questo paese, a parte i Jennifer Gentle e pochi altri gruppi che cantano in inglese. Ma in questo disco c’è anche un po’ d’influenza dei Queen.
Fareste mai come gli U2, che hanno regalato il loro ultimo album Songs of innocence su iTunes?
È un bel gesto regalare musica, ma il fatto che fosse su tutti i dispositivi dà un po’ fastidio. Il fatto che lo abbiano caricato nel mio database senza dirmelo è un po’ strano. Se avessero lasciato la scelta libera sarebbe stato meglio. Ma il gesto in sé di dare gratis la propria musica non è male, se potessimo lo faremmo anche noi.
Vi siete sempre battuti per tenere bassi i prezzi dei biglietti per i vostri concerti. Oggi si vendono pochi dischi, non è che abbassando i biglietti si peggiora la condizione degli artisti?
Lo facciamo per il pubblico. Se un nostro concerto costasse 25 euro dovrebbe offrire una roba che vale 25 euro: uno spettacolo di luci e una scenografia all’altezza, per esempio. Ma noi siamo una band rock, il nostro spirito è solo quello di salire sul palco a suonare. Secondo la nostra etica il prezzo di un gruppo rock italiano deve essere tra i 10 e i 15 euro. Per esempio i Subsonica costano più di venti euro, ma mettono in piedi uno spettacolo che vale tutti quei soldi. Noi no. Le date del prossimo tour costeranno quindici euro, che è abbastanza, ma insieme a noi ci saranno i Jennifer Gentle, che spaccano.
Vi stressate durante le prove del tour?
Sì, molta tensione, brutti sogni, poco sonno, mal di stomaco. Stando chiusi tanto in sala prove alla lunga si diventa un po’ strani e misantropi. Non siamo abituati a parlare così tanto, a fare promozione, a fare le interviste. Di colpo ci portano via da Albino, il nostro paesino, e ci spediscono in città grosse. Siamo disorientati.
Quando esce il volume 2 di Endkadenz?
Prima dell’estate, probabilmente.
Che disco è?
È un po’ più solare e frizzante del primo volume, che è più dark. È più giocoso. C’è un pezzo che si chiama Cannibale, che nonostante il titolo ha atmosfere abbastanza felici, un po’ spanish.
Ci sono dei gruppi che avete ascoltato recentemente e vorreste consigliare?
(Alberto prende l’iPad). Gli Unkle Acid, che sono di Cambridge. Una roba un po’ stoner. E poi i soliti: Zz Top, Beatles, Melvins, Miles Davis, Queen, Robert Johnson. Ascoltiamo sempre questa roba qui.
Andreste mai al festival di Sanremo?
Ora non me la sentirei, ma magari tra qualche anno potrei dire di sì. Solo che noi siamo paranoici sul suono, vogliamo curare tutto nei minimi dettagli. T’immagini che fatica arrangiare l’orchestra nota per nota?
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