Poche settimane fa il rapper e produttore Jay-Z ha comprato una quota di maggioranza dell’Aspiro, l’azienda svedese proprietaria del servizio di streaming musicale Tidal.
Tidal è un servizio simile a Spotify, Rdio e altre piattaforme di streaming. Permette cioè di ascoltare musica senza limiti, pagando un abbonamento. Qual è la differenza con gli altri servizi? La prima riguarda la qualità del suono, che su Tidal è più alta, perché le canzoni non sono in formato lossless, cioè sono state compresse senza perdita di dati, con una velocità di trasmissione attorno ai 1.411 kbps. Per una spiegazione leggermente più dettagliata, vi rimando qui.
L’altra differenza sostanziale è di tipo economico: Tidal è fondato su un modello premium. Non ha una versione gratuita (non c’è quindi la possibilità, come nel caso di Spotify, di usarlo gratis a patto di sopportare la pubblicità). Costa 19,99 euro al mese, un prezzo più alto rispetto alla concorrenza (Spotify costa 9,99 euro al mese).
Una delle prime novità introdotte da Jay-Z su Tidal è quella dell’abbonamento “economico” a 10 dollari al mese, che però prevede una qualità audio standard.
Cos’ha spinto Jay-Z a buttarsi in questo business? Al momento non è chiaro. Sicuramente però ha fatto le cose in grande, girando uno spot insieme a 16 musicisti famosi (ci sono, tra gli altri, Kenye West, Madonna, Rihanna, Daft Punk, Jack White e Chris Martin) e convincendoli a fare le belle statuine a una surreale conferenza stampa di presentazione.
Questi artisti non sono solo dei figuranti, perché secondo il sito Billboard hanno acquistato il 3 per cento dell’azienda. Il resto è in mano a Jay-Z, alle case discografiche e ad altri investitori per il momento sconosciuti.
Durante la conferenza stampa gli artisti hanno detto che non è giusto che le aziende tecnologiche abbiano preso il loro posto nella distribuzione della musica (ma fino a pochi anni fa la distribuzione era quasi totalmente nelle mani delle case discografiche, o no?). Non si capisce però cosa potrebbero fare per cambiare le cose.
Il problema è che tutte le persone presenti all’evento organizzato da Jay-Z hanno ignorato la vera questione: la distribuzione delle royalty, cioè i compensi riconosciuti all’autore di una canzone.
Una delle critiche principali che vengono fatte a Spotify, oltre alla mancanza di trasparenza nella contabilità, sono i pochi soldi che vengono versati agli artisti, soprattutto a quelli emergenti, per ogni brano che va in streaming (meno di un centesimo). Dei soldi che un utente dà a Spotify, l’azienda trattiene il 30 per cento, mentre il restante 70 per cento viene ripartito tra gli artisti presenti su Spotify in base alla loro percentuale di ascolti sul totale. Un meccanismo che, secondo i critici, penalizza costantemente i musicisti emergenti in favore di quelli più famosi. Per risolvere il problema, alcuni esperti propongono a Spotify di distribuire le royalty sulla base degli ascolti veri che ogni musicista o gruppo totalizza.
In un’intervista al New York Times, un portavoce di Tidal è stato abbastanza vago sulla distribuzione dei compensi agli artisti e si è limitato a dire che “saranno più alti rispetto a quelli dei servizi che si basano sulla pubblicità”.
Se le royalty versate agli artisti saranno davvero molto più alte di quelle di Spotify, gli appelli di Jay-Z e dei suoi compagni potrebbero acquistare un po’ di credibilità. In caso contrario, il grande cambiamento annunciato dal nuovo Tidal sarà semplicemente fumo negli occhi.
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