Volevano costruire una biblioteca, piantare degli alberi, attrezzare un campo giochi. Il più giovane del gruppo si chiamava Okan Pirinç, aveva diciassette anni e veniva da Antakya. I trentadue ragazzi uccisi il 20 luglio a Suruç, in Turchia, militavano nella Federazione delle associazioni dei giovani socialisti. Quando la bomba è esplosa si trovavano nel giardino del centro culturale Amara. Arrivavano da tutto il paese e stavano per andare a Kobane, dall’altra parte del confine, in territorio siriano, per dare una mano nella ricostruzione della città.
Okan Pirinç, Uğur Özkan, Kasım Deprem, Hatice Ezgi Saadet, Cemil Yıldız, Çağdaş Aydın, Nazlı Akyürek, Ferdane Ece Dinç, Mücahit Erol, Murat Yurtgül, Emrullah Akhamur, İsmet Şeker, Nartan Kılıç, Ferdane Kılıç, Serhat Devrim, Met Ali Barutçu, Erdal Bozkurt, Süleyman Aksu, Koray Çapoğlu, Cebrail Günebakan, Veysel Özdemir, Nazegül Boyraz, Alper Sapan, Alican Vural, Osman Çiçek, Dilek Bozkurt, Büşra Mete, Yunus Emre Şen, Ayda Ezgi Şalcı, Polen Ünlü, Duygu Tuna, Nurcan Kaçmaz: sono i nomi delle vittime identificate finora.
Erano ragazze e ragazzi che credevano nella possibilità di cambiare il mondo attraverso l’impegno politico. È per questo che li hanno uccisi.
Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2015 a pagina 5 di Internazionale, con il titolo “Possibilità”. Compra questo numero | Abbonati
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