“Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre”: così comincia il famoso aforisma di Abraham Lincoln sulla democrazia. Ma in un sistema democratico multipartitico, di solito, basta ingannare una parte dei cittadini. In un sistema parlamentare come quello della Turchia, il 49 per cento del voto popolare garantisce un’ampia maggioranza di seggi, e così Recep Tayyip Erdoğan guiderà la Turchia per altri quattro anni. Ammesso che il paese esista per altri quattro anni.

Naturalmente tra quattro anni esisterà ancora una Turchia, ma potrebbe non essere più una democrazia e potrebbe anche non avere più gli attuali confini. Con le elezioni del 1 novembre il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) di Erdoğan ha riconquistato la maggioranza che aveva perduto alle elezioni di giugno, ma la strategia che ha usato gli ha messo contro gran parte della popolazione.

I curdi rappresentano un quinto dei 78 milioni di abitanti della Turchia. Molti di loro sono musulmani sunniti, politicamente conservatori e, generalmente, in passato hanno votato per l’Akp, che ha vinto tre elezioni consecutive (2003, 2007 e 2011) con una maggioranza sempre più ampia.

Nonostante gli sforzi della Turchia, i curdi siriani hanno respinto i jihadisti dello Stato islamico

Poi i curdi hanno smesso di votare per Erdoğan, facendogli perdere le elezioni di giugno. Alle ultime elezioni l’Akp è riuscito a sostituire quei voti perduti con quelli dei nazionalisti, spaventati da una secessione curda, e dei cittadini comuni che vogliono solo pace e stabilità. Ma per ottenerli ha dovuto scatenare una guerra.

Nel 2011, quando è cominciata la guerra civile in Siria, Erdoğan ha offerto il sostegno della Turchia ai ribelli, soprattutto perché in quanto musulmano sunnita detestava gli alawiti che sostengono il presidente siriano Bashar al Assad. Il governo turco ha lasciato aperto il confine tra la Turchia e la Siria al fine di facilitare l’afflusso di volontari, armi e denaro ai gruppi islamici che combattono Assad, compresi il Fronte al nusra e il gruppo Stato islamico.

Uno stato mediorientale

Ha perfino sostenuto lo Stato islamico quando ha attaccato il territorio liberato dai curdi nel nord della Siria, che si estende per tutta la parte orientale del confine turco-siriano. Alla fine, nonostante gli sforzi della Turchia, i curdi siriani sono riusciti a respingere i jihadisti dello Stato islamico. Ma è proprio questo che è costato a Erdoğan il sostegno dei curdi di Turchia.

La sua soluzione è stata riaccendere la guerra contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), il movimento separatista armato che ha sede nel Kurdistan iracheno. Un cessate il fuoco aveva interrotto le ostilità tra la Turchia e il Pkk negli ultimi quattro anni, ma ora Erdoğan aveva bisogno di una guerra patriottica contro i malvagi separatisti curdi per convincere i nazionalisti e gli ingenui a sostenere il suo partito.

Così ha ingannato gli Stati Uniti, convincendoli a sostenere la sua guerra e offrendo in cambio il permesso di usare le basi aeree turche, garantendo inoltre che anche l’aviazione turca avrebbe cominciato a bombardare lo Stato islamico. In realtà, la Turchia ha sganciato solo alcune bombe simboliche sui jihadisti: la maggior parte dei suoi attacchi ha come obiettivo i curdi.

Il 1 novembre Erdoğan ha raccolto i frutti della sua politica: i voti dei turchi che temono il separatismo curdo hanno sostituito i voti dei curdi che l’Akp aveva perso a giugno. Il problema è che la campagna elettorale è finita, ma la guerra andrà avanti, e non potrà che peggiorare.

L’esercito turco sta già colpendo i curdi in Siria, minacciando un’invasione qualora il protostato curdo-siriano (noto come Rojava) cercasse di espandersi a ovest e di chiudere l’ultima parte di frontiera che collega la Turchia con i jihadisti dello Stato islamico.

In Turchia le istituzioni indipendenti di un normale stato democratico sono state sovvertite una dopo l’altra: i mezzi d’informazione, la polizia e ora anche la giustizia sono, in generale, al servizio di Erdoğan. La tv di stato, per esempio, ha garantito 59 ore di copertura alla campagna elettorale di Erdoğan nell’ultimo mese. Tutti gli altri partiti messi insieme hanno avuto a disposizione sei ore e 28 minuti.

L’Akp di Erdoğan ha vinto le elezioni, ma la Turchia non è più una vera democrazia. E dato che la metà della popolazione che non ha votato per Erdoğan lo odia, non sarà neanche uno stato autoritario particolarmente stabile. A dire il vero, sta probabilmente vacillando sull’orlo di una guerra civile.

Quelli che detestano Erdoğan perché sta distruggendo l’informazione libera, snaturando la giustizia e saccheggiando lo stato (lui e i suoi colleghi dell’Akp si stanno arricchendo velocemente) non reagiranno con la violenza. E non lo faranno neanche i poveri, nonostante il boom economico sia ormai finito e i posti di lavoro stiano scomparendo.

A Erdoğan sono serviti dodici anni di governo per abbattere una democrazia di stampo europeo

A prendere le armi saranno invece alcuni curdi di Turchia, e avranno il sostegno dei curdi di Siria appena oltre confine. Questo spingerà probabilmente l’esercito turco a invadere il nord della Siria per neutralizzare i curdi della regione. E quando la Turchia sarà entrata a tutti gli effetti nella guerra civile siriana, tutto il sudest della Turchia a maggioranza curda diventerà un teatro di guerra.

Quando Mustafa Kemal Atatürk ha salvato la repubblica turca dal crollo dell’impero ottomano, dopo la prima guerra mondiale, era deciso a farne uno stato europeo. Inizialmente si è trattato di uno stato piuttosto dispotico, ma nel corso dei decenni si era gradualmente trasformato in una democrazia fondata sullo stato di diritto.

Oggi tutto questo è finito. A Erdoğan sono serviti dodici anni di governo per abbattere quella democrazia di stampo europeo, ma adesso il lavoro è concluso. Come ha recentemente scritto un giornalista turco, la Turchia sta diventando uno stato mediorientale.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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