“Cercherò di formare un governo”, ha dichiarato domenica sera il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy dopo la pubblicazione dei risultati delle elezioni nazionali, “ma non sarà facile”. Il suo Partito popolare (Pp, di destra) ha comunque ottenuto il più alto numero di seggi in parlamento, 123, ma si tratta di un numero inferiore ai 176 necessari per avere la maggioranza assoluta, per non parlare dei 186 che aveva conquistato quattro anni fa.

Pablo Iglesias, l’uomo che due anni fa ha fondato il partito Podemos, era d’accordo con Rajoy su questo punto (anche se su poco altro). “Signore e signori, è il comandante di Podemos che vi parla”, aveva detto nel corso di un comizio durante la campagna elettorale. “Vi ringraziamo per aver scelto il cammino del cambiamento. Prevediamo un viaggio un po’ agitato, con qualche turbolenza politica”.

Podemos è riuscito a fare eleggere 69 deputati, non male per un partito di due anni d’età e alla prima prova nazionale, che però non è sembrato interessato a collaborare con l’altro grande partito di sinistra, il Partito socialista (Psoe). “Speriamo che Podemos sia disponibile a lavorare con noi”, ha dichiarato Juan Fernando López Aguilar, del Psoe, che nel nuovo parlamento avrà 90 rappresentanti, “ma per ora avverto una minacciosa miscela di arroganza, autoinfatuazione e sufficienza”.

“Se i socialisti o il Pp non avessero sbagliato niente, né Podemos né noi esisteremmo”, ha dichiarato Albert Rivera, leader di Ciudadanos, un partito ancora più giovane di Podemos. Lo scorso gennaio era praticamente sconosciuto al di fuori della Catalogna, con appena il 3 per cento delle preferenze nei sondaggi. Domenica scorsa Ciudadanos ha ottenuto il 14 per cento dei voti nazionali e 40 seggi.

La formazione di un nuovo governo in Spagna, quindi, sarà un processo lungo e complicato.

Il Pp e il Psoe si sono sempre alternati al potere e nessuno si è preoccupato per l’assenza di altri partiti durante il boom economico

Dai tempi della morte del dittatore Francisco Franco e del ritorno della democrazia in Spagna, quarant’anni fa, solo due partiti hanno avuto un’importanza al livello nazionale. Il Pp rappresentava la destra tradizionale, vicina alla chiesa cattolica e alla monarchia, e otteneva la maggior parte dei suoi voti nelle aree rurali e tra gli elettori più anziani. Il Psoe rappresentava la sinistra tradizionale, e otteneva i voti delle città, dei giovani e di quel che rimaneva della classe operaia.

Il Pp e il Psoe si sono alternati al potere e, durante i tre decenni di boom economico successivo all’ingresso della Spagna nell’Unione europea, nessuno si è particolarmente preoccupato per l’assenza di altri partiti.

Poi è arrivata la crisi finanziaria del 2008, gli stipendi hanno smesso di crescere o addirittura sono calati per molti spagnoli, il settore edile si è fermato e la disoccupazione ha raggiunto il 27 per cento.

Entrambi i partiti hanno fatto un loro tentativo di affrontare la crisi, ciascuno tagliando il bilancio dello stato, rimodulando o rimborsando quanto più debito possibile e imponendo dure misure d’austerità alla popolazione. Perfino la popolazione spagnola ha cominciato a calare, con frotte di giovani che hanno lasciato il paese alla ricerca di lavoro in altri paesi dell’Unione europea.

La crisi ha creato lo spazio per un nuovo partito che contrastasse le politiche di austerità

Forse tutta quest’austerità ha finalmente dato i suoi frutti. Quest’anno l’economia spagnola sta crescendo del 3 per cento, il tasso più alto dell’Unione, e la disoccupazione è scesa al 21 per cento. Ma è comunque la più alta d’Europa, con l’eccezione della Grecia, e per molti elettori è troppo tardi. Non credono che le politiche dei due partiti storici abbiano molto a che vedere con il rilancio dell’economia (e molti di loro non credono neppure alle statistiche secondo le quali c’è stato un rilancio).

C’era quindi spazio per un nuovo partito che contrastasse le politiche di austerità, e per un po’ di tempo questo partito è sembrato Podemos: una formazione anticapitalista, con un leader con la coda di cavallo, e che prometteva cambiamenti radicali. Qualcuno temeva che avesse tendenze “venezuelane”, un anno fa i sondaggi hanno mostrato che avrebbe perfino potuto superare i due partiti tradizionali alle urne.

La nascita di Ciudadanos ha scisso in due il voto di protesta e la Spagna ha ora quattro grandi partiti

Non è andata proprio così. Da gennaio l’altro nuovo partito, Ciudadanos, ha conquistato i più nervosi tra gli elettori delusi che inizialmente erano pronti a sostenere Podemos. Anche Ciudadanos ha un leader di 36 anni (senza coda di cavallo, però) che parla di cambiamenti radicali, ma in realtà guida una formazione di centrodestra che si colloca al centro della scena politica, lasciato a lungo vuoto dai tradizionali partiti di sinistra e destra.

Questo ha scisso in due il voto di protesta e quindi la Spagna ha ora quattro grandi partiti e sarà difficile creare un governo di coalizione. La matematica impone sia al Pp sia al Psoe di far parte di una coalizione in grado di controllare una maggioranza parlamentare, ma Ciudadanos ha giurato che non parteciperà ad alcun governo a meno di non averne la guida.

Anche Podemos si sta mostrando rigido, dicendo che chiederà ai suoi sostenitori di votare a favore o contro l’adesione a una qualsiasi coalizione (ed essendo arrabbiati con i partiti tradizionali, voterebbero probabilmente di no).

E quindi, a meno di una “grande coalizione” tra il Pp e il Psoe, altrettanto difficile da immaginare, non sarà proprio possibile formare un nuovo governo. Nel qual caso, tra due mesi, dovranno esserci delle nuove elezioni, e la ripresa economica diventerà un miraggio. I periodi difficili di solito non rendono le persone più moderate e disposte al compromesso. La Spagna è un paese assolutamente sensato che ha gestito bene la sua democrazia per quarant’anni. Ma potrebbe essersi appena reso ingovernabile.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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