Secondo una lunga tradizione filosofica, la vita fa schifo. Si dice che quando nasceva un bambino, gli antichi traci piangessero di tristezza pensando a tutte le sofferenze che lo aspettavano. Un libro moderno del filosofo sudafricano David Benatar che porta il meraviglioso titolo Better never to have been. The harm of coming into existence (Meglio non essere mai nati. Il guaio di venire al mondo) riflette lo stesso spirito.

La maggior parte delle persone sa che i buddisti della vecchia scuola credono nella reincarnazione, ma spesso dimentica che non la considerano una cosa positiva: lo scopo di tutta quella meditazione è “scendere dalla ruota del karma”, così che un giorno ci sarà risparmiata la seccatura di rinascere. E i mistici cristiani conosciuti come gnostici, forse i più grandi depressi di tutti i tempi, sostenevano che “il mondo era nato per sbaglio”.

L’esistenza, pensavano, era solo una versione degradata e scadente della non esistenza, che invece era perfetta, e quello che rendeva Dio così divino era proprio la sua inesistenza. Provate a dirlo a un seguace di Richard Dawkins e aspettate che gli esca il fumo dalle orecchie.

Caotica approssimazione
Queste misantrope riflessioni potrebbero sembrare irrilevanti per la nostra vita quotidiana, ma come sostiene il filosofo Costica Bradatan in un suo splendido saggio apparso sul New York Times (con lo scoraggiante titolo Perché fare qualsiasi cosa?), si può essere più gnostici di quanto si creda. Pensate al problema della procrastinazione: se anche voi siete come me, uno dei motivi per cui rimandate le cose è il perfezionismo. Avete in mente un’idea confusa del risultato finale, che ovviamente è impeccabile. “Il procrastinatore è folgorato dall’immagine perfetta di ciò che deve ancora nascere”, scrive Bradatan. “È incantato da tutta quella purezza e quello splendore”.

Ma poi si rende conto di essere condannato a rovinare quella perfezione: un vero romanzo, una tesi di dottorato, la ristrutturazione di una casa o un matrimonio possono essere solo una deprimente e caotica approssimazione di quella fantasia.

Ogni creazione è imperfetta per definizione, realizzare qualcosa significa inevitabilmente rovinare tutto

“Prendere coscienza che, nonostante tutti i nostri buoni propositi, siamo agenti del degrado”, dice Bradatan, “ci fa soffrire in modo insopportabile”. La sua può sembrarci un’esagerazione fino a quando non ripensiamo all’ultima volta che abbiamo lottato contro il desiderio di rimandare qualcosa: la sensazione è proprio quella di un travaglio esistenziale, totalmente sproporzionato rispetto al compito che abbiamo davanti. Non vedo l’ora di provare la mia nuova scusa per non aver rispettato una scadenza, in sostituzione del solito cliché del cane che mi ha mangiato il compito: “Mi dispiace, ma sono stato folgorato dalla purezza della non esistenza!”.

Non c’è nulla di nuovo nella constatazione che il perfezionismo conduce alla procrastinazione, ma troppo spesso noi perfezionisti siamo segretamente orgogliosi della nostra malattia: siamo convinti che questa volta, finalmente, se useremo tutte le nostre risorse e capacità, potremo fare le cose nel modo giusto. La consolante risposta degli gnostici è: non vi illudete. Ogni creazione è imperfetta per definizione, realizzare qualcosa significa inevitabilmente rovinare tutto.

Non è questione di “accettare il fallimento”, ma di capire che l’unica scelta è accettare il fallimento. Sono abbastanza sicuro che gli gnostici non lo intendessero come un suggerimento motivazionale, ma questo è l’effetto che esercita su di me: fare le cose, e correre rischi interessanti, è molto più facile se sai già di poter fallire. Non ha senso preoccuparsi che le cose possano andare storte quando l’hanno già fatto.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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