La mappa luminosa è tra le grandi attrazioni del Museo dell’acqua di Napoli. Mappa interattiva: il visitatore schiaccia il tasto corrispondente al quartiere Barra, per esempio, o Chiaia, Vomero, Posillipo, o più precisamente una certa via, e sul quadro si illumina tutta la strada percorsa, dalle fonti del Serino o dai pozzi della Campania occidentale attraverso i vari rami dell’acquedotto fino ai rubinetti di casa.
Distribuire acqua potabile a una grande città è un affare complesso. Napoli è rifornita da quattro acquedotti costruiti in tempi diversi: quello del Serino è il più antico; altri si sono aggiunti nel dopoguerra, quando la popolazione è aumentata e la città ha cominciato a espandersi, da Posillipo a Fuorigrotta, ai quartieri oltre la ferrovia e le nuove zone industriali. Gli acquedotti riempiono delle “vasche di carico” sulle colline che circondano la città, da cui l’acqua va a otto serbatoi “di accumulo” interconnessi tra loro; da qui infine parte la ragnatela della rete di distribuzione.
Capoluogo controcorrente
Napoli però è una città in salita, quindi i serbatoi devono stare più in alto della zona che servono: per questo l’infrastruttura comprende anche 12 impianti di “sollevamento”, cioè stazioni di pompaggio. Un sistema di telecontrollo vede in ogni momento portata e pressione nella rete. E un lavoro quotidiano di analisi esamina ciò che esce dai rubinetti.
Un’infrastruttura pesante. Ma questo è vero più o meno in ogni grande città. Se Napoli è un caso unico in Italia è perché qui l’acqua è pubblica. La distribuzione idrica è gestita da una “azienda speciale” di proprietà del comune, ente pubblico a tutti gli effetti.
Napoli cioè ha invertito il cammino compiuto in tutto il paese a partire dagli anni novanta, quando le vecchie aziende municipalizzate sono state trasformate in società per azioni, o imprese miste, o addirittura la distribuzione dell’acqua è stata data in concessione a privati (come in molti comuni della Sicilia). In effetti anche a Napoli, nel 2001, la vecchia municipalizzata (Aman) era diventata una società per azioni (Arin spa), società di diritto privato benché controllata dal comune.
Poi però il capoluogo partenopeo è andato controcorrente e nel 2013 è nata Abc Napoli, che sta per “Acqua bene comune”, esplicito richiamo al referendum popolare del 2011. Nel giugno di quell’anno, infatti, quasi trenta milioni di elettori italiani avevano votato a favore del servizio pubblico, nella consultazione promossa dal Forum dei movimenti per l’acqua.
Eppure, Napoli è l’unica grande città d’Italia dove la rete idrica è tornata di proprietà pubblica. Oggi “l’acqua del sindaco” è buona, la bolletta costa meno che in altre grandi città, e la società che la distribuisce è in attivo. Una storia positiva, un esempio che funziona? Sembra proprio di sì, anche se le tensioni non mancano.
Appena insediato nel 2011, de Magistris ha nominato un assessore ai beni comuni, l’acqua pubblica e la democrazia partecipativa
“La forma giuridica è una garanzia per i cittadini”, dice Maurizio Montalto, commissario straordinario di Abc Napoli, che incontro nel suo ufficio al sesto piano di via dell’Argine 929, oltre il centro direzionale. Una società per azioni “deve necessariamente fare profitti, è nelle sue finalità, altrimenti va messa in liquidazione. Un’azienda pubblica invece non deve fare profitti, la sua priorità è garantire il servizio pubblico: deve fornire acqua di qualità, investire gli utili nell’infrastruttura e migliorare il servizio”.
Giovane, di professione avvocato, Montalto parla con grande passione di partecipazione democratica, trasparenza, di cambiare la “cultura dell’impresa”, di “bene pubblico”. Per fare la storia di Abc risale a una decina d’anni fa, quando a Napoli era nato un movimento “per il diritto all’acqua” che poi è confluito nella campagna per il referendum.
Tornare a un’azienda pubblica è stata una decisione del sindaco di Napoli, Luigi de Magistris. Appena insediato nel 2011, sull’onda del referendum, ha nominato un assessore “ai beni comuni, l’acqua pubblica e la democrazia partecipativa”: Alberto Lucarelli, professore di diritto pubblico. Poi ha chiamato Ugo Mattei, professore di diritto internazionale ed esperto della materia, per ridare a Napoli un’azienda idrica pubblica. Nomi non casuali, perché Lucarelli e Mattei avevano redatto i due quesiti del referendum sull’acqua (il primo abroga le norme che consentono di affidare servizi pubblici di rilevanza economica a soggetti scelti con gara; il secondo cancella la norma per cui nelle tariffe dell’acqua va inclusa la remunerazione del capitale investito dal gestore).
La transizione però non è stata semplice. Non c’erano modelli a cui rifarsi: “Nel diritto societario sono chiari i passaggi necessari a convertire una società di diritto pubblico in una privata, ma sul percorso inverso non c’erano norme precise”, spiega Mattei, che raggiungo per telefono a Torino dove insegna. Inoltre, aggiunge, “i poteri forti hanno remato contro”.
Comunque sia, nel novembre 2012 è stata infine istituita Abc Napoli, operativa a tutti gli effetti con il 2013. Ha la forma giuridica di una “azienda speciale”: il comune detta le linee di indirizzo, ma ha maggiore autonomia di gestione rispetto alle vecchie municipalizzate. Mattei è diventato prima consigliere d’amministrazione, poi presidente della nuova azienda prendendo il posto di Maurizio Barracco (andato allora a presiedere il Banco di Napoli). Nel passaggio, anche il direttore generale Francesco Panico, un uomo della vecchia gestione, è stato “licenziato” dal sindaco de Magistris.
“Presto sono emerse le magagne della gestione precedente”, dice Mattei (in effetti su Arin spa sono aperte due inchieste penali, per questioni di appalti). “La vecchia società per azioni era gestita come un feudo”, accusa. “Una gestione paternalistica, magari con iniziative illuminate come l’asilo interno per i figli dei dipendenti o il Museo dell’acqua, ma con nessuna trasparenza. Appalti opachi e grande moltiplicazione di poltrone e di stipendi. Tutto a danno degli investimenti e dell’utenza”.
In quel clima di scontro di poteri, la neonata società è stata oggetto di ripetute visite dell’agenzia delle entrare e della guardia di finanza: “Mai trovato nulla di irregolare, ma certo ci hanno preso di mira”, osserva Ugo Mattei.
Grandi professionalità
La nuova azienda però si è consolidata. A garanzia di trasparenza, Abc Napoli si è data un nuovo statuto e ha istituito un comitato di sorveglianza, con rappresentanti dei lavoratori (eletti) e dei cittadini-utenti (selezionati per sorteggio). A sancire l’avvenuta transizione, lo scorso autunno il comune di Napoli ha firmato la nuova convenzione, che affida ad Abc la gestione idrica integrata nei prossimi trent’anni.
Certo, nel frattempo era successo di tutto. L’assessore Lucarelli ha lasciato la giunta di Napoli per tentare il salto nella politica nazionale. Mattei ha lasciato Abc (per meglio dire, è stato dimesso) per divergenze con il sindaco, e oggi parla di un “cammino incompiuto”: sostiene che era necessaria una maggiore devoluzione di poteri alla nuova azienda (”cosa succederà se il prossimo sindaco non dovesse sostenere l’acqua pubblica?”).
Intanto l’ex direttore generale Panico ha fatto ricorso contro il licenziamento, patteggiando il reintegro: così oggi occupa la sua vecchia carica, benché abbia ancora un contenzioso aperto con l’azienda stessa, una situazione paradossale. Nel luglio scorso infine si è dimesso l’intero consiglio d’amministrazione. È allora che il sindaco ha nominato un commissario straordinario; doveva restare pochi mesi, il tempo di nominare un nuovo cda: invece è ancora là. “Io stesso sono stupito”, commenta Montalto. Lui si considera “uno dei movimenti per l’acqua prestato alla gestione”.
L’azienda comunque, funziona, e tutto sommato bene. Abc Napoli ha chiuso il 2014 con un attivo di 7,9 milioni di euro, e il bilancio 2015 sarà simile. Vuole reinvestire gli utili nell’infrastruttura e in campagne di educazione pubblica. Mantiene una politica di tariffe sociali e non ha operato distacchi se non su ordine della magistratura. E vanta grandi professionalità: la prima qualità dell’azienda sta “nel patrimonio di capacità professionali e tecniche e nella dedizione dei suoi addetti”, sottolinea Maurizio Montalto.
La mappa della rete idrica di Napoli permette di cliccare su una certa zona per conoscere la qualità dell’acqua che esce dai rubinetti
Per averne un’idea basta scendere al piano terra dell’edificio di via Argine, dove si trova il laboratorio di analisi diretto dall’ingegnera Francesca Santagata. Il laboratorio analizza ogni giorno i campioni d’acqua presi da 70 “punti di prelievo” sparsi su tutta la rete, di cui 51 in città, spiega. Mostra carrelli di provette con codici a barre e i laboratori, dove vengono fatte le analisi chimiche di base e poi quelle più complesse, per individuare residui di pesticidi e trialometani, fluoruro, nitrati. Poi quelle microbiologiche, per individuare batteri. “Controlliamo 136 parametri, ci siamo dati limiti più bassi di quelli ammessi per legge”, spiega Santagata. Mentre visito il laboratorio, una tarda mattinata di gennaio, arriva il “prelevatore” reduce dal quotidiano giro per raccogliere campioni d’acqua. “Il nostro è un controllo ‘in contraddittorio’”, spiega Santagata. “Gli stessi campioni sono raccolti e analizzati nei laboratori dell’Arpac dalla Asl Napoli 1, che ha la responsabilità legale del controllo”. Con un certo orgoglio (meritato) spiega che il laboratorio interno di Abc è certificato per analisi specialistiche (da Accredia, in conformità alla norma Uni Cei En Iso/Iec 17025:2005).
Tutti questi dati sono sul sito web dell’azienda. Ecco un’altra mappa, la rete idrica di Napoli. Anche qui basta cliccare su una certa zona per conoscere la qualità dell’acqua che esce dai rubinetti: “Indichiamo i 35 parametri principali, più utili per l’utente medio, e li aggiorniamo ogni mese”, dice Santagata. C’è un preciso sistema di “tracciabilità” dell’acqua che arriva in ogni zona, in modo da risalire all’acquedotto di provenienza, spiega: l’acqua di diverse fonti può avere caratteristiche diverse – più o meno calcarea, per esempio – ma poi viene miscelata nei serbatoi, in modo che la qualità non sia troppo difforme da una zona all’altra.
Un’azienda assediata
Uno dei punti di prelievo è proprio allo Scudillo, non lontano da Capodimonte, presso il Museo dell’acqua dove le scolaresche napoletane “giocano” con la mappa luminosa dei distretti idrici. Qui si possono vedere una piccola sezione dell’acquedotto, un serbatoio tra i più grandi d’Europa, i tunnel scavati nella roccia, le chiuse, e un impianto di sollevamento (questo è uno di quelli d’emergenza). E l’acqua che scorre, con uno scroscio continuo che incute rispetto perché è chiaro che può travolgere tutto. Qui incontro Vincenzo Capoluongo, uno degli addetti alla manutenzione dei serbatoi. È chiaro che ama il suo lavoro: “Se c’è un problema noi andiamo, non importa se ci sono gli straordinari”. Dice che è questione di professionalità ma anche di senso del dovere.
“Abbiamo fatto grandi innovazioni, ma ci aspettiamo più investimenti e più sostegno dai poteri pubblici”, dice Antonio Mancinelli, rappresentante della Cisl nella Rsu (la rappresentanza sindacale d’azienda). Spiega che l’organico è sceso in modo preoccupante, dai 620 dipendenti di Arin ai 374 attuali di Abc: “Chi esce per anzianità non è rimpiazzato”, effetto delle spending review (ed è una tendenza cominciata già con la vecchia azienda, aggiunge).
Abc però resiste. Ha lanciato la campagna ‘buona da bere’, ha restaurato fontane storiche e fontanelle pubbliche
È più tagliente un comunicato diffuso in gennaio dalla Cgil provinciale: dice che l’azienda è bloccata da diatribe interne, tra cui il conflitto legale tra il direttore generale e l’azienda stessa. Parla di dirigenti senza una vera guida operativa, “sempre più alle prese con le continue visite della guardia di finanza inviata dalla corte dei conti e dalla procura della repubblica”. L’operatività quotidiana ormai ne risente, si allarma la Cgil, e “c’è chi, a nostro avviso sbagliando, rimpiange il passato”. Dà l’idea di un’azienda assediata. Davvero non è facile, gestire il “ritorno all’acqua pubblica”.
Anche perché l’esperimento di Napoli resta solitario. Già appena fuori città, l’acquedotto vesuviano è in concessione alla Gori (gruppo Acea), dunque privata. Il referendum del 2011 ha fermato la tendenza ad appaltare la gestione idrica a società private, ma non ha innescato un ritorno generalizzato alla gestione pubblica. Lo spirito di quel voto era chiaro, ma per tradurlo in norme concrete ci voleva una volontà politica che è mancata.
Il riordino a cui sta lavorando l’Autorità nazionale per l’energia elettrica, gas e servizi idrici punta ad accentrare gli attuali “distretti” (ricalcati sui bacini idrici) in enti unici regionali. I sostenitori del servizio pubblico ci vedono il preludio a nuove concessione a privati. Maurizio Montalto se la prende con la legge per il riordino del servizio idrico approvata in novembre dalla regione Campania, che istituisce un ente di governo unico per la regione: è un modo per esautorare i sindaci, dice, ed è “incompatibile con la gestione pubblica”.
Parla di una corsa all’accaparramento delle fonti idriche: “Garantiscono un alto profitto: così una risorsa naturale, dunque un bene pubblico, diventa una fonte di guadagni privati”. La piccola Abc si sente assediata. In effetti la società regionale Acqua Campania, che dal 1993 ha in concessione dalla regione i “grandi adduttori”(le fonti), è di proprietà della multinazionale francese Veolia e dell’italiana Vianini (Gruppo Caltagirone), 48 per cento ciascuna. L’acquedotto della Campania occidentale, uno dei quattro a cui attinge Napoli, è dunque in gestione privata. “Così soffocheranno il servizio pubblico: un altro modo per rimettere l’acqua in mano ai privati”.
Abc però resiste. Ha lanciato la campagna “buona da bere”, ha restaurato fontane storiche e fontanelle pubbliche. Ha ispirato una graphic novel, Mammacqua. Venderesti tua madre?, un po’ favola mitologica, un po’ cronaca dell’epopea dell’acqua “di tutti” a Napoli (di Paco Desiato, in uscita presso l’editore Round Robin, il 29 febbraio 2016). E mantiene un certo favore tra i cittadini, come testimoniano i presepi di San Gregorio Armeno, che quest’anno includevano cascatelle e giochi d’acqua in omaggio al “bene comune”.
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