Riyadh consulterà gli altri partecipanti alla coalizione per decidere una sospensione delle operazioni cominciate il 26 marzo, per permettere la distribuzione di aiuti alla popolazione
L’Arabia Saudita potrebbe interrompere i bombardamenti contro i ribelli houthi nello Yemen per consentire la distribuzione di aiuti alla popolazione. Lo ha annunciato il ministro degli esteri Adel al Jubeir. Negli ultimi giorni si sono intensificati gli scontri tra le milizie alleate del presidente Abd Rabbo Mansur Hadi e gli houthi nel sud del paese e almeno trenta persone sono state uccise. L’Arabia Saudita consulterà gli altri partecipanti alla coalizione per decidere una sospensione delle operazioni cominciate il 26 marzo.
Il segretario di stato statunitense John Kerry sarà in visita a Riyadh il 6 e il 7 maggio per discutere con il governo saudita una “pausa umanitaria”. Intanto anche il Senegal ha deciso di unirsi alla coalizione contro gli houthi nello Yemen e invierà in Arabia Saudita 2.100 soldati.
Nuovi scontri hanno avuto luogo a Taiz e Aden, nel sud dello Yemen, tra le truppe governative del presidente Adb Rabbo Mansur Hadi, appoggiate dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita, e i ribelli sciiti houthi. Leggi
La coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha annunciato di aver distrutto la pista di atterraggio dell’aeroporto di Sanaa, capitale dello Yemen, controllata dai ribelli sciiti. Il bombardamento sarebbe servito a evitare che un aereo iraniano potesse atterrare nella città, violando il divieto di sorvolare il paese.
L’Iran sostiene i ribelli houthi, anche se Teheran ha sempre smentito di aver fornito loro aiuti militari.
L’aereo iraniano, che aveva ottenuto l’autorizzazione della coalizione per recarsi nella capitale attraverso l’Arabia Saudita, “è passato per l’Oman prima di chiedere l’autorizzazione, tentando di seguire un itinerario vietato”, ha spiegato il portavoce della coalizione, il generale Ahmed al Assiri.
La distruzione della pista di atterraggio mette in difficoltà gli aerei che trasportano aiuti umanitari alla popolazione, già stremata dal conflitto. I civili uccisi sono almeno 551, secondo le ultime stime dell’Onu, e 150mila persone hanno dovuto abbandonare le proprie case.
L’ex presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, ha lanciato un appello a tutta la popolazione affinché torni al dialogo politico per mettere fine alla crisi del paese. “Chiedo a tutte la parti in conflitto in tutte le province di fermare i combattimenti e tornare al dialogo”, ha detto Saleh in una nota.
La dichiarazione dell’ex presidente arriva mentre nel paese cresce l’emergenza umanitaria a causa dei combattimenti tra i ribelli sciiti houthi e le forze fedeli al presidente Abd Rabbo Mansur Hadi e dei bombardamenti della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, che sono ancora in corso nonostante la tregua annunciata da Riyadh. Le forze fedeli a Saleh, costretto a dimettersi in seguito a mesi di proteste nel 2011, dopo 33 anni al potere, hanno combattuto al fianco dei ribelli houthi contro le truppe del presidente Hadi. Afp
C’è stato un tempo in cui le grandi operazioni militari avevano nomi oscuri in modo che i piani non fossero chiari al nemico. Ma poi hanno cominciato a occuparsene i responsabili delle pubbliche relazioni. Quando l’Arabia Saudita ha deciso di bombardare i ribelli houthi che avevano preso il controllo della maggior parte dello Yemen, ha chiamato l’operazione Decisive storm (Tempesta decisiva). Suona bene e dà un’idea di determinazione, ma anche di burrasca. Leggi
La coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha continuato a bombardare le posizioni dei ribelli houthi nello Yemen nonostante il 21 aprile il governo di Riyadh abbia annunciato un’interruzione dei raid aerei. Un riassunto della situazione nel paese. Leggi
L’Arabia Saudita questa mattina ha bombardato le posizioni dei ribelli houthi nello Yemen, nonostante la tregua annunciata dal governo il 21 aprile. Riyadh aveva detto che avrebbe continuato le operazioni militari contro gli houthi, se necessario.
I raid hanno colpito le basi dei ribelli vicino alla capitale Sanaa, a nord della città di Taiz nel sudovest del paese e nella città di Yarim, secondo le testimonianze degli abitanti.
L’Arabia Saudita continuerà a usare la forza per fermare l’avanzata degli houthi nello Yemen. Lo ha detto l’ambasciatore saudita a Washington, Adel al Jubeir, nonostante l’annuncio di mettere fine all’offensiva militare fatto ieri da Riyadh. “Se gli houthi o i loro alleati compiranno azioni aggressive, ci sarà una risposta. La decisione di calmare la situazione è completamente nelle loro mani”, ha detto Al Jubeir ai giornalisti.
In seguito ai nuovi bombardamenti della coalizione guidata dall’Arabia Saudita sulla città di Taiz, i ribelli hanno chiesto la fine completa dei raid aerei prima di un’eventuale ripresa dei colloqui con il sostegno delle Nazioni Unite.
La coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita ha bombardato la terza città dello Yemen, Taiz, per contrastare l’avanzata dei ribelli sciiti houthi, poche ore dopo che Riyadh aveva annunciato che avrebbe interrotto i raid aerei sullo Yemen. Ci sono stati combattimenti anche ad Aden e Daleh. Il 21 aprile Riyadh aveva annunciato la fine dei bombardamenti, ma aveva detto che avrebbe continuato ad agire contro gli houthi, se necessario. Secondo le Nazioni Unite, dal 19 marzo almeno 944 persone sono morte e 3.487 sono state ferite a causa dei bombardamenti.
Il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha lanciato un appello a fornire assistenza umanitaria e ad avviare dei colloqui politici per risolvere la crisi in corso nello Yemen dopo l’annuncio, da parte dell’Arabia Saudita, della fine dell’operazione militare lanciata contro i ribelli sciiti houthi nel paese. Una decisione che Zarif ha definito positiva. Leggi
I ribelli sciiti houthi hanno liberato il ministro della difesa dello Yemen, sequestrato più di un mese fa. Il generale Mahmoud al Subaihi è stato rilasciato dopo che la coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha deciso di interrompere i raid aerei sul paese. Reuters
Il presidente statunitense Barack Obama ha spiegato in un’intervista al talk show Hardball, su Msnbc, di aver mandato “messaggi molto diretti” all’Iran, con l’avvertimento di non spedire armi allo Yemen che potrebbero mettere a rischio il traffico mercantile nella regione. Il Pentagono aveva già dichiarato che la presenza di un convoglio di navi mercantili iraniane nel mar Arabico è stato uno dei motivi che ha portato alla decisione della marina statunitense di rafforzare il suo dispositivo navale al largo delle coste yemenite.
Nelle ultime ore un portavoce del Pentagono, il colonnello Steve Warren, ha smentito che la portaerei Theodore Roosevelt e l’incrociatore Uss Normandy siano state mandate nella regione con l’obiettivo di intercettare navi iraniane che trasportano armi in Yemen destinate alle milizie sciite houthi. Obama è stato più esplicito: “Al momento le loro navi si trovano in acque internazionali”, ha detto. “C’è un motivo per cui teniamo alcune delle nostre navi nella regione del golfo Persico ed è per essere certi di garantire la nostra libertà di navigazione. Se ci sono armi destinate a fazioni nello Yemen che potrebbero mettere a rischio la navigazione, è un problema”.
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva già imposto un embargo alle spedizioni di armi dirette alle milizie houthi, e la marina saudita è impegnata in un blocco navale su tutto lo Yemen. Ieri Riyadh ha annunciato di avere concluso la sua campagna di bombardamenti contro i ribelli sciiti e che sosterrà una soluzione politica del conflitto. Annuncio che la Casa Bianca ha accolto con favore.
Il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha lanciato un appello per fornire assistenza umanitaria urgente nello Yemen dopo l’annuncio dell’Arabia Saudita di fermare i bombardamenticontro i ribelli sciiti houthi.
Zarif ha dichiarato che la decisione saudita è stata positiva e ha chiesto dei negoziati e la formazione di un nuovo governo. Il governo di Riyad è intenzionato a trovare una soluzione politica alla crisi, ma la forza militare sarà usata quando ce ne sarà bisogno per “impedire movimenti e operazioni degli houthi all’interno del paese”.
La coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha annunciato la fine dei raid aerei nello Yemen per fermare l’avanzata dei ribelli sciiti houthi. Le operazioni militari continueranno ma avranno l’obiettivo di “impedire movimenti e operazioni degli houthi all’interno del paese”. Lo sostiene un portavoce dell’esercito saudita, secondo il quale il governo di Riyad ha portato a termine con successo gli obiettivi prefissati, “rimuovendo le minacce per sé e per i suoi vicini”.
Le operazioni della coalizione, cominciate alla fine di marzo, entreranno ora in una nuova fase, che prevede operazioni di antiterrorismo, di aiuto umanitario e iniziative politiche. Il blocco navale sarà mantenuto, hanno aggiunto le autorità saudite.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, fino a oggi i combattimenti nello Yemen hanno causato 944 morti.
Almeno quaranta persone sono morte e decine sono rimaste ferite in due raid aerei della coalizione guidata dai sauditi nello Yemen. Lo hanno riferito fonti ospedaliere. Le bombe hanno colpito un ponte della provincia centrale di Ibb sul quale stavano passando dei miliziani sciiti houthi, uccidendo una ventina di persone, per la maggior parte civili. È stato poi bombardato una base dell’intelligence nella città di Haradh, vicino al confine yemenita con l’Arabia saudita. Stando alle fonti, in quest’ultimo raid sarebbero morti 13 civili e sette soldati. Reuters
Si intensificano gli scontri fra i ribelli sciiti houthi e le unità della Resistenza popolare che sostengono il presidente Abd Rabbo Mansur Hadi, in esilio in Arabia Saudita. Leggi
Il ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha inviato una lettera all’Onu che contiene il piano per la pace nello Yemen, dove alla fine di marzo una coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha lanciato una serie di raid aerei contro i ribelli sciiti houthi. Il piano, annunciato il mese scorso, prevede quattro punti: un cessate il fuoco immediato, un programma di assistenza umanitaria, la ripresa del dialogo tra le fazioni in lotta nel paese e la formazione di un governo di unità nazionale.
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